"L'ultimo conservatore" e l'ossessione progressista per un pensiero mai così in salute

​Il Signore "mi ha tolto la parola per farmi apprezzare il silenzio" diceva nella sua umanissima profondità di pensiero papa Ratzinger, incontrando i visitatori durante quella che diceva l'ultima tappa del suo pellegrinaggio

"L'ultimo conservatore" e l'ossessione progressista per un pensiero mai così in salute

Il Signore «mi ha tolto la parola per farmi apprezzare il silenzio» diceva nella sua umanissima profondità di pensiero papa Ratzinger, incontrando i visitatori durante quella che diceva l'ultima tappa del suo pellegrinaggio. E mai il suo silenzio è stata una lezione più cristallina, in queste ore in cui si è spenta solo la sua voce mortale. Facendo riecheggiare così forte la teoresi teologica del Papa filosofo che per tutta la vita ha pensato l'incontro amoroso tra fede e ragione. Non a caso nell'Angelus di Natale del 2010 aveva predicato che «la conoscenza del vero non è geometria, è amore», quell'amore che invera il corruttibile grazie all'incorruttibile. E proprio per questo, nel diluvio di titoli seguiti alla sua scomparsa e a completare una pregevole costruzione grafica con il suo profilo che sembra una preziosa moneta, a colpire (negativamente) è quello in prima pagina di Repubblica che lo tumula come «L'ultimo conservatore». Al che viene da chiedersi se si tratti di condanna non solo postuma di un quotidiano che ha sempre fatto del progressismo la bandiera di casa o un auspicio. La speranza che il magistero conservatore di Ratzinger venga sepolto insieme a lui nelle Grotte vaticane, in quella tomba che non caso fu di Giovanni Paolo II. Perché se c'è un tempo terreno nel quale il conservatorismo sembra godere di ottima salute ed essere ben lungi dall'avere bisogno di una sepoltura è proprio quello che stiamo vivendo. E non solo in Italia, dove la larghissima vittoria elettorale e il crescente consenso popolare di un centrodestra a trazione Giorgia Meloni ha riportato in auge pensieri e pensatori del conservatorismo più classico. Quelli del resto cari a quel Marcello Pera e Rocco Buttiglione che Silvio Berlusconi volle al suo fianco. Un filone di pensiero che non ha mai smesso di innervare la cultura e perfino la politica del nostro Paese e il cui vento spira in molte terre di quell'Europa alla quale il cardinale Ratzinger dopo 25 anni da custode della Congregazione per la dottrina della fede, volle rendere omaggio scegliendo il nome di Benedetto XVI. Perché dopo essere stato uno dei grandi teologi del Concilio, volle far capire che non doveva essere la modernità a salvare la fede, ma la fede a salvare la modernità. È forse questo che ha induce la cultura sedicente progressista che lo ha sempre trattato con un certo disprezzo da «Pastore tedesco», ad auspicare che con lui tramonti la tradizione che avrebbe voluto l'inserimento delle radici cristiane nella Costituzione europea o un ascolto attento del Discorso di Ratisbona che metteva in guardia contro l'armarsi, militare e teologico, dell'Islam. E invece sembra che non sarà così. Che una cultura che come Ratzinger legge Hans Urs von Balthasar, oltre ad aver vinto le elezioni possa dare una spina dorsale alla cultura e alla politica.

Si dirà che il conservatorismo non è il populismo ne quale rischia di scivolare certa destra. Si vedrà. E anche a evitare questo, servirà quella lectio magistralis che è stata la vita di Benedetto XVI. Che Dio l'abbia in gloria.

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