L'ultimo "grande gioco". Tutti gli scenari che avvelenano la Siria

L'ipotesi peggiore è ripetere le situazioni che si sono venute a creare in Irak nel 2003 e in Libia nel 2011. Il ruolo strategico degli Stati del Golfo

L'ultimo "grande gioco". Tutti gli scenari che avvelenano la Siria

La caduta del regime di Bashar Al Assad in Siria ha colto tutti di sorpresa. Solo pochi giorni prima, l'opinione predominante tra i diplomatici impegnati nella regione era che Assad avesse di fatto vinto la guerra decennale, grazie al sostegno di Iran e Russia, anche se presidiando un paese che era sprofondato nel collasso al fine di preservare il potere della sua famiglia. Tuttavia, la recente sconfitta militare di Hezbollah, il principale proxy dell'Iran, per opera di Israele ha cambiato anche le sorti siriane. Assad si è trovato privo del necessario supporto militare da parte dell'Iran e dei suoi alleati, mentre la Russia, gravata dal conflitto in corso in Ucraina grazie al supporto occidentale a Kiev, non è stata in grado di fornire assistenza adeguata. Di conseguenza, mentre i ribelli avanzavano verso Damasco, l'esercito di Assad è collassato. Sia Benjamin Nethanyau che Joe Biden si sono affrettati a rivendicare il merito per la caduta del regime di Assad. Sebbene ci sia un fondo di verità in questo, la realtà è che entrambi vedevano in un Assad indebolito come parte di una strategia per contenere l'Iran e non credevano in un cambio di regime.

La Siria occupa una posizione strategica di tale importanza che ciò che capita al suo interno ha ripercussioni sia per i vicini, che per il Mediterraneo e gli equilibri globali. Con la caduta di Assad, ora la Russia rischia di perdere le sue basi in Siria mentre l'Iran avrà difficoltà a ricostituire Hezbollah in Libano. A guadagnarne potrebbe essere la Turchia. Grazie ai suoi legami con il gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Sham (HTS), Ankara potrebbe essere destinata a giocare un ruolo cruciale in Siria, ancor di più se Donald Trump decidesse di ritirare le truppe americani dalla Siria orientale. Nel frattempo, truppe israeliane sono entrate in Siria rinforzando rapidamente le difese nelle Alture del Golan e hanno attaccato posizioni dell'esercito siriano per prevenire che cadessero in mani di gruppi radicali islamici mentre gli Stati Uniti hanno effettuato decine di attacchi aerei per impedire che l'ISIS sfruttasse la situazione. Le conseguenze sono notevoli. Andiamo per ordine.

Innanzitutto, la stabilità della Siria dipenderà molto dalla capacità di HTS di creare un governo di transizione nazionale che possa godere dell'appoggio di molteplici gruppi di opposizione e preservare le istituzioni chiave dello stato. Sebbene il gruppo sia ancora classificato come un'organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, il suo leader, Mohamed al-Jolani, ha ribadito il suo impegno per un approccio inclusivo e ha messo in guardia contro la vendetta nei confronti delle minoranze del paese. Anche se le sue dichiarazioni sono positive e nonostante si stia costruendo una nuova immagine distante dalle sue origini legate ad Al-Qaeda, presentandosi come un rivoluzionario moderno più simile ad un Che Guevara che a Bin Laden, rimane però da vedere se fazioni jihadiste saranno in grado di governare in modo inclusivo ed in rispetto delle diversità sociali e religiose del paese. I precedenti di Islamisti al potere nella regione non sono certo positivi.

Lo scenario peggiore potrebbe richiamare alla mente le situazioni in Libia nel 2011 e in Iraq nel 2003, dove scoppiarono guerre civili a seguito della caduta di Muammar Gheddafi e Saddam Hussein. Un conflitto interno tra le fazioni di opposizione avrebbe conseguenze umanitarie ben note, con ondate migratorie verso la Turchia, il Libano, la Giordania e potenzialmente l'Europa. C'è da sperare quindi che ragione e compromesso prevalgano, anche perché, a differenza della Libia e dell'Iraq, la Siria ha già subito 13 anni di guerra civile.

In secondo luogo, senza Assad a Damasco l'Iran potrebbe non essere più in grado di rifornire Hezbollah in Libano e ristabilire quindi un deterrente contro Israele. Dopo aver debellato la rete di proxy iraniana in Medio Oriente, ora Israele ha anche l'opportunità di infliggere un colpo critico al programma nucleare dell'Iran. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo sarebbe probabilmente necessario un intervento militare con gli Stati Uniti, la cui disponibilità ad un'operazione simile resta incerta.

Donald Trump, che si insedierà alla Casa Bianca tra sei settimane, continua a sostenere che, a differenza di Biden, non è interessato a coinvolgere gli Stati Uniti in nuove guerre. Di conseguenza, è possibile che gli Stati Uniti possano cercare di negoziare un nuovo accordo nucleare con un Iran che ora si trova di fronte ad un bivio: o negoziare da una posizione di debolezza senza precedenti oppure sviluppare una bomba nucleare provocando Israele e Stati Uniti in una nuova guerra.

Terzo. Gli stati del Golfo giocheranno molto probabilmente un ruolo importante. Anche se negli ultimi 15 anni hanno criticato aspramente il regime di Bashar al-Assad per la sua vicinanza con l'Iran, recentemente avevano normalizzato le relazioni, riammettendo la Siria nella Lega Araba. Le monarchie del Golfo avrebbero preferito evitare che a rovesciare il regime di Assad fosse una rivolta jihadista. Tuttavia, questa situazione offre loro l'opportunità di assumere un ruolo più rilevante nella transizione della Siria, potenzialmente sostituendo l'Iran nel futuro del paese.

Infine, il ruolo della Russia. Vladimir Putin è intervenuto a sostegno di Assad nel 2015, in quella che è passata alla storia come l'operazione più significativa della Russia in Medio Oriente dalla caduta dell'Unione Sovietica. In cambio Mosca ottenne il via libera da Damasco per creare la base aerea di Hmeimim, nella provincia siriana di Latakia, che si aggiunge quella navale di Tartus risalente ad un accordo del 1971, poi rinnovato nel 2017 per altri 49 anni. Quest'ultima è la base più strategica della Russia nel Mediterraneo, poiché rappresenta l'unico centro di rifornimento di Mosca nell'area, fungendo da legame chiave per le sue operazioni in Libia e nel resto dell'Africa. La perdita di Tartous sarebbe un duro colpo per la capacità della Russia di esercitare potere nell'area del Mediterraneo.

A sole sei settimane dall'insediamento del Presidente Donald Trump per un secondo mandato gli equilibri geopolitici nel Mediterraneo stanno già cambiando. Sullo sfondo, vi è la possibilità di un insieme di trattative un «gran-bargain» che parta dall'Ucraina e coinvolga Russia, Iran, Siria, Turchia.

La domanda da porsi è se l'Europa avrà la capacità di sapersi muovere tempestivamente in questo nuovo contesto.

*Direttore Ufficio Progetti Speciali Med-Or

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica