È il mistero dell'algoritmo. «Abbiamo 21 parametri - spiega Francesco Broccolo, virologo, professore all'Università di Milano Bicocca - ma molti sono avvolti nella nebbia più fitta». I governatori, da Nord a Sud, denunciano la scarsa trasparenza degli indicatori che regolano il semaforo inventato dal governo Conte per fronteggiare l'epidemia.
«Ho provato ad andare sui siti di riferimento, ma purtroppo - aggiunge Broccolo - non si riesce a sapere il valore di molti di questi parametri. Ho chiesto aiuto a illustri colleghi e anche loro hanno alzato le mani: è come trovarsi davanti a una cassaforte chiusa a doppia mandata. Non sai cosa c'è all'interno e la chiave, che dovrebbe essere a disposizione dell'opinione pubblica, è nascosta da qualche parte». Di più: «Mi dicono - insiste lo studioso - che alcune informazioni sono state secretate a Roma». Risultato: l'oggettività opaca dell'algoritmo. Un sorta di divinità venerata ma inaccessibile. E a suo modo capricciosa: le regioni parlano di un meccanismo farraginoso, eufemismo, e sostengono che 21 parametri siano troppi. Ne basterebbero cinque, come le dita di una mano: l'indice Rt, che misura l'andamento del contagio, la percentuale di tamponi positivi, il riempimento dei letti di terapia intensiva e di ospedale, la risorse per il contact-tracing, l'isolamento e la quarantena. «Io - aggiunge Broccolo - condivido le perplessità avanzate da più parti».
È molto macchinoso mettere insieme dati che richiedono un grande sforzo e a volte vengono trasmessi a Roma dopo giorni e giorni di affannoso lavoro. Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità, replica che la «complessità» della sanità italiana impone un monitoraggio altrettanto sofisticato. E i ritardi non costituiscono un problema. Ma per Broccolo non è nemmeno questo il punto più delicato: «L'aspetto più sconcertante di tutta questa storia é che non conosciamo il peso di ciascun parametro rispetto al totale». Tradotto con la classica immagine della torta: quanto è grande ciascuna delle ventuno fette? Risultato: i colori si accendono e si spengono seminando dubbi e punti di domanda. «Ho confrontato - riprende il virologo - la situazione della Campania e della Calabria all'inizio di questo secondo lockdown e mi sono dovuto arrendere. I dati sono parziali e fanno a pugni con i colori delle due regioni: non si capisce perché la Calabria fosse finita nella fascia rossa e la Campania fosse rimasta sul giallo». Cifre e numeri stridono.
«Quindici giorni fa circa - riassume Broccolo - la saturazione delle terapie intensive, un dato che tutti abbiamo imparato a tenere d'occhio, era più drammatica in Campania, con un tasso di occupazione intorno al 35 per cento e punte oltre il 40 per cento seguite da repentini abbassamenti di nuovo intorno al 35 per cento, che in Calabria dove si stava stabilmente sotto la soglia del 30 per cento. Un divario importante, visibile a occhio nudo. E nell'ultima settimana di ottobre, quella decisiva per i colori, l'Rt medio della Campania era a 1,57 e la Calabria a 1,6. In sostanza, i due valori erano uguali». Che pensare? E però il semaforo ha dato il giallo per la Campania e il rosso per la Calabria. «Incomprensibile - conclude Broccolo - perché sulla base di due indicatori così rilevanti, la situazione della Campania era più grave rispetto a quella della Calabria. E invece la Campania non era nemmeno arancione». L'esperto non lo dice ma il retropensiero velenoso come un serpente è evidente: la presunta asetticità del modello è in realtà riempita dalla discrezionalità di scelte che hanno altre motivazioni.
Anche per questo ridurre i parametri e renderli «tracciabili» aiuterebbe a diradare il fumo e a rendere più comprensibili e condivisibili scelte e sacrifici. Ma il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha già fatto capire che si andrà avanti così. Anche se nell'acqua torbida è difficile afferrare certezze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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