L'emergenza Covid ha portato con sé un effetto collaterale del tutto inaspettato. E ha risolto un nodo che anni di politiche sanitarie non sono riuscite a sciogliere: ha eliminato i codici bianchi, cioè le emergenze-non emergenze. Praticamente azzerate nei pronto soccorso, soprattutto nelle zone rosse, dove il flusso è calato del 30 per cento.
Questo non significa che la gente ha smesso di ammalarsi ma semplicemente che, per paura del contagio, ha evitato di mettersi in coda tra i casi gravi e ha risolto in altro modo mal di pancia e dolorini vari per cui, fino a febbraio, chiedeva la visita dei medici di prima linea in modo inappropriato. Insomma, si può dire che al momento sia stato risolto un abuso che intasava l'accesso alle cure d'urgenza e allungava i tempi di attesa fino a 12 ore per il 93 per cento dei pazienti che si presentavano in ospedale. I casi più critici erano, in base ai dati raccolti nel 2017 da Agenas (l'agenzia nazionale per i servizi sanitari), in Liguria, con il 52 per cento dei codici bianchi, in Valle d'Aosta con il 44 e in Veneto con il 39. C'è da sperare che la lezione Covid permanga nel tempo e si impari ad andare al pronto soccorso non più come fosse il medico della mutua, ma con più parsimonia.
Tuttavia, spiegano i medici dell'emergenza, si prevede che con la ripresa delle attività i numeri degli accessi in Ps aumenteranno, soprattutto nei primi giorni: al triage si presenteranno tutti quelli che hanno rimandato finora. Ma tra questi si presume che ci siano pochissimi codici bianchi.
Tra quelli che non si sono presentati ci sono anche potenziali pazienti seri, tra cui i cardiopatici, che nei prossimi mesi saranno una delle categorie maggiormente monitorate. L'associazione dei cardiologi infatti cerca di prevenire in tutti i modi un potenziale aumento degli infarti e degli ictus dovuto proprio a visite rimandate o a piccoli sintomi trascurati pur di rimanere in casa e non sottoporsi al rischio di contagio. Ovviamente i pronto soccorso non torneranno più quelli di prima: nelle sale d'attesa bisognerà mantenere le misure di sicurezza e saranno previsti percorsi separati per suddividere i pazienti generici dai potenziali Covid.
Nuove abitudini anche per la ripresa delle attività negli ospedali: termoscanner all'ingresso per misurare la temperatura, visite dei parenti centellinate (se non del tutto eliminate), niente accompagnatori fuori dalla sala operatoria. E massimo rigore imposto ai medici perché rispettino gli orari delle visite in poliambulatorio: solo così si potranno evitare sovraffollamenti delle sale d'attesa o dei corridoi e si potrà coordinare l'intervento delle squadre delegate a disinfettare materiali e stanze tra un paziente e l'altro.
Le attività aumenteranno passo passo. La priorità è data agli interventi chirurgici oncologici, a cominciare da quelli slittati nelle scorse settimane: prima verranno effettuate le operazioni con un'urgenza media (fra i 30 e i 60 giorni) e poi verranno chiamati i pazienti da operare entro i 60 giorni. Verranno aumentati i turni e ampliati gli orari per riuscire a recuperare in tempi brevi anche le sedute di chemioterapia rimandate. Si tratta dei cicli dedicati ai pazienti non gravi ma che ovviamente non possono essere ulteriormente spostati.
Per ripristinare le liste d'attesa e gestire il lavoro arretrato, gli ospedali - ognuno a discrezione e con la sua modalità - potranno spalmare su un orario più esteso ogni attività, dalle analisi del sangue, alle tac e alle radiografie. Unico imperat è rispettare la regola di base: non far concentrare troppe persone all'interno dell'ospedale.
Resteranno aperti
i 90 ospedali Covid, che serviranno a ricoverare i nuovi casi e a rispondere a eventuali nuove emergenze. E solo quando l'emergenza sarà finita o verrà trovata una cura, potranno essere riconvertiti alla sanità ordinaria.
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