La guerra è dichiarata. A urne chiuse, la Macronie taglia col coltello il risultato. E torna all'attacco: mentre lo schieramento del presidente della Repubblica si classifica solo in terza posizione, dietro ai lepenisti e al fronte popolare della gauche, Emmanuel Macron prende carta e penna per invitare i francesi (che lui stesso ha voluto sfidare) a creare un «grande rassemblement» in vista del secondo turno delle «politiche». L'idea è sempre la stessa: far barriera al Rassemblement national.
Il capo dello Stato chiede di «chiarire la situazione politica» col voto del 7 luglio; quello che conterà davvero. Ma intanto ha già azionato il suo potere di nomina in barba ai risultati, temendo d'essere costretto a una coabitazione. Prefetti, Corte dei Conti, accademie e amministrazione centrale, denunciava ieri il Journal du Dimanche. Nomi pronti a essere indicati dall'inquilino dell'Eliseo prima che arrivi un nuovo potenziale capo del governo. E intanto, l'appello disperato agli elettori: «È giunto il momento di un grande rassemblement democratico e repubblicano per il secondo turno, l'elevata partecipazione - scrive Macron - testimonia l'importanza di questo voto e il desiderio di chiarire la situazione politica». L'onda si è però già schiantata sull'Eliseo ricacciandolo a riva neppure a metà del guado del suo secondo mandato. E dopo anni di navigazione a vista. Rimpasti, riforme a metà, proclami e problemi di tutti i giorni rimasti irrisolti.
Via dunque all'operazione sabotaggio. Malgrado la sconfitta. Manovre all'Eliseo per bloccare le eventuali future scelte di Bardella già iniziate. Decine di nomine attese, dunque, prime della seconda tornata, tanto che nel Rn parlano già di «colpo di Stato amministrativo». Il presidente non vuole infatti rinunciare al potere che la Costituzione gli attribuisce, a partire da quello di indicare alti funzionari civili e militari nei ranghi dello Stato. Per i lepenisti è «come Nerone, metterà la Francia a ferro e fuoco e poi lascerà». D'altronde, l'ex enfant prodige, sin dal suo ingresso all'Eliseo nel 2017, ha minato dalle fondamenta certi standard; prima i consolidati equilibri politici d'Oltralpe, prosciugando il bacino socialista delle migliori giovani menti, economisti d'esperienza e tattici d'ogni provenienza; burocrati, oltre a quei politici giudicati adatti a piegarsi al suo progetto di gestione del potere dal Palazzo; poi, attingendo alla litigiosa famiglia neogollista, ha indebolito pure l'altro partito storico, quello degli eredi di De Gaulle, forgiando così un nuovo equilibrio, poggiato su una piramide decisionale in cui lui è diventato il capo assoluto né di destra né di sinistra, e dove gli altri, a vari livelli, hanno avuto al massimo la gestione di risorse come contentino, una certa ribalta mediatica, piegandosi di fronte all'inappellabile trionfo politico del bis-presidente. E mentre lui studia la «lista» di nomi da piazzare in anticipo come «disturbatori», il ministro dell'Interno Gérald Darmanin invita ancora una volta a «fare barriera al Rn, perché porterà solo difficoltà al nostro Paese». Darmanin ieri si è qualificato per il secondo turno col 41 per cento davanti al lepenista Bastien Verbrugghe che ha raccolto il 36,86.
E se la diplomazia dell'Eliseo è oggi gestita da pochi intimi, un altrettanto ristretto numero di persone, consiglieri diplomatici che ascoltano Macron ed eseguono, ministri, oltre a quello che in Italia potrebbe essere assimilato al concetto di deep state, quella somma di organismi che mettono i loro poteri economici o militari o strategici davanti al potere politico, condizionando di fatto l'agenda degli obiettivi pubblici, si trova ora davanti a un rebus: accettare le avances del presidente o aspettare il nuovo possibile corso lepenista?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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