In fondo Raoul Casadei era nato per fare il maestro. Lo è stato proprio a scuola per diciassette anni (si era diplomato alle magistrali) ma ha poi continuato a esserlo nelle balere e nei locali di tutto il mondo. Dai banchi al palchi è rimasto sempre lo stesso, quello che ti accoglieva nella sua casa di Gatteo Mare e accendeva le luci della vita con quelle parole sorridenti e con quell'attitudine positiva alle quali non si poteva resistere. «Uè, oltre il novanta per cento degli italiani sa chi sono», ripeteva spesso citando una indagine Abacus. Forse per questo Raoul Casadei era diventato un «brand» a prescindere dalla musica, trasformandosi negli anni Settanta in una sorta di influencer ante litteram (non a caso fu testimonial tv di Barilla e Biancosarti, apparve su fotoromanzi, lanciò slogan, recitò sé stesso in tante commedie).
Suo zio Secondo aveva la più famosa orchestra di ballo romagnola e nel 1954 aveva inciso Romagna mia, un inno esistenziale che poi è diventato anche un manifesto turistico traghettando quella terra in ogni parte del mondo. Ma fu soltanto il maestro Raoul a sdoganare il «liscio», a farlo uscire dal circuito delle balere e a farlo accettare come una parte importante del folk italiano nonostante lo snobismo di tanta critica schierata. Scrisse tantissime canzoni, mica solo Ciao Mare, Simpatia, La Mazurka di periferia, Romagna e Sangiovese, e tutte con un solo scopo: far divertire, far ballare. Raoul Casadei è stato il deejay di un altro tempo, il tempo delle orchestre che suonavano la polka o il tango e, con le nervature di basso e batteria, accendevano gli amori in pista e il buonumore in tutta la sala. Verso la fine degli anni Sessanta, lui, la sua chitarra e l'orchestra suonavano quasi 400 concerti all'anno (allora si suonava al pomeriggio e alla sera). Negli anni Settanta l'influencer Casadei fece esplodere il «fenomeno liscio» in tutta Italia, partecipò al Festival di Sanremo (scatenando un caso perché il patron Salvetti lo richiamò in gara nonostante l'esclusione ma le proteste gli impedirono di esibirsi), passò due volte al Festivalbar e a Un disco per l'Estate, mentre in tutta Italia nascevano centinaia di orchestre e orchestrine sulla falsariga dell'orchestra Casadei. E poi quel «vai col liscio» che era il suo motto e che una sera pronunciò anche alle Rotonde di Garlasco e finì poco dopo sulla copertina di Tv Sorrisi Canzoni consacrando la «diversità» del maestro di Gatteo Mare, così ottimista nel periodo del pessimismo più cupo. Lui, l'orchestrale sposato con figli (meravigliosa la storia d'amore con Pina) che voleva il buonumore a qualsiasi costo mentre l'altra musica alzava i toni della protesta e della minaccia. Poi dagli anni Ottanta smise di salire sul palco e rimase dietro le quinte sfornando un'idea dietro l'altra (ad esempio la celebre Nave del Sole, una balera galleggiante) e aspettando di passare il testimone al figlio Mirko che ieri lo ha salutato con le parole più belle: «Era in grande forma, un vero colpo di scena. Le sue canzoni continueranno a girare di generazione in generazione. E questa è la cosa di lui che non potrà mai morire».
In fondo, nel «brand Casadei» c'è una gran parte dell'italianità tradizionale, quella che racchiude i valori della famiglia, dell'amicizia e del legame orgoglioso con la propria terra (anche per questo certa stampa non lo amava).
Ma ogni volta che appariva in tv (ad esempio all'Isola dei Famosi del 2006) il consenso si rivelava sterminato perché in quel sorriso, in quel legame forte con i valori, in quel buon senso d'altri tempi tutti ritrovavano una parte di sé, quella più desiderata e più difficile da conservare.
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