Mafia capitale come i boss Chiesti 500 anni di carcere

Il pm: «Appalti spartiti come caciotte». Buzzi rischia 26 anni, Carminati 28. Che esulta

Mafia capitale come i boss Chiesti 500 anni di carcere

Roma - Come in ogni processo di mafia che si rispetti, anche in quello di Mafia Capitale l'accusa ci va giù dura con le richieste di condanna. Roba da veri boss: 515 anni di carcere complessivi per i 46 imputati del maxi-dibattimento che ci dovrà dire se a Roma c'è la mafia.

La Procura non ne dubita, si tratta solo di capire quanta ce n'è nel modo di agire del gruppo che avrebbe condizionato per anni, con tangenti e minacce, la gestione di appalti e risorse della pubblica amministrazione, guidato da Massimo Carminati e dal suo braccio destro, Salvatore Buzzi. I due si aggiudicano le richieste di condanna più pesanti, 28 anni per l'ex Nar e 26 e 3 mesi per il ras delle coop, con i 25 anni e 10 mesi sollecitati per Riccardo Brugia, l'alter ego del «cecato». Quando il pm Luca Tescaroli chiede alla Corte di dichiarare Carminati «delinquente abituale», applicandogli a pena espiata una misura di sicurezza per altri due anni oltre alla confisca delle sue opere d'arte, il «Nero» che segue il processo in diretta video dal carcere di Parma dove è detenuto al 41 bis, esulta, a mo' di provocazione, alzando le braccia al cielo con i pugni chiusi in segno di vittoria. Niente attenuanti generiche per gli imputati (19 dei quali accusati di associazione mafiosa), ad eccezione di Luca Odevaine, l'ex membro del tavolo nazionale di coordinamento sui migranti - che ha già patteggiato due condanne per le tangenti ricevute per gli appalti del Cara d Mineo -, per il quale sono stati chiesti 2 anni e 6 mesi perché ha collaborato con i pm.

Se l'aggravante mafiosa reggerà e se quella di Carminati&Co non si ridurrà ad una semplice associazione per delinquere, si saprà entro metà luglio, quando è prevista la sentenza. Di una mafia che non ha bisogno di armi per intimidire hanno parlato i magistrati nella requisitoria. In questo caso sarebbe bastata la fama criminale del «cecato» a «determinare paura, assoggettamento e omertà, che sono le caratteristiche di un'organizzazione mafiosa». Per garantirsi questo tipo di aiuto l'imprenditore delle coop pagava il 50 per cento degli utili a Carminati. «Un vero karaoke della corruzione», sostiene il procuratore aggiunto Paolo Ieolo. «A Roma la cosa pubblica è stata gestita come fette di una caciotta da spartire senza alcuna preoccupazione per il bene comune», sintetizza.

Nel calderone sono finiti ex amministratoli locali di vari schieramenti, ex dipendenti pubblici e dirigenti d'azienda. Per essersi posto al servizio del sodalizio criminale, favorendo l'aggiudicazione degli appalti pubblici, l'ex ad di Ama Franco Panzironi rischia 21 anni.

Diciannove anni e sei mesi, invece, sono stati chiesti per l'ex capo gruppo Pdl in Campidoglio prima e in Regione poi, Luca Gramazio, ritenuto il collante tra l'organizzazione, la politica e le istituzioni. Avrebbe elaborato con Fabrizio Franco Testa, per il quale sono stati sollecitati 22 anni, le strategie di penetrazione della pubblica amministrazione. Cinque anni è la pena che rischia l'ex dg Ama Giovanni Fiscon.

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