È di fatto un no ai cardini della riforma dell'ordinamento giudiziario firmata Marta Cartabia. Un no alle «pagelle», che alimentano nei magistrati «un'ansia competitiva». Un no all'aut aut tra politica e magistratura, per sospetta incostituzionalità. E un no a limiti giudicati eccessivi al passaggio tra funzioni requirenti e giudicanti. L'associazione nazionale magistrati in audizione in commissione giustizia alla Camera boccia molti punti degli emendamenti approvati dal governo alla giustizia. Sono quelli su cui il sindacato delle toghe aveva già espresso dissenso. A partire dalle "pagelle" - il giudizio non sarà più sono solo positivo, non positivo e negativo ma discreto, buono o ottimo - e dall'introduzione del voto degli avvocati nei consigli giudiziari, che elaborano le valutazioni di professionalità dei magistrati.
«Non c'è bisogno di dare voti sulla capacità del magistrato di organizzare il suo lavoro», ha detto il presidente Giuseppe Santalucia. Le valutazioni «devono intercettare eventuali cadute, lacune, mancanze. Che bisogno c'è di dare i voti? Si valuti il magistrato senza dare un voto». Santalucia ha motivato così il no anche al voto degli avvocati nei consigli giudiziari: «Gli avvocati sono dal 1958 all'interno del Csm e saranno, secondo la previsione degli emendamenti governativi, all'interno dell'ufficio studi del Csm, con sospensione delle funzioni. Tale sospensione non avviene però all'interno dei distretti giudiziari. Quindi, nel piccolo distretto, le ragioni della conflittualità potrebbero non essere sopite da questo meccanismo». Il timore è che i voti possano rivelarsi non imparziali a causa dei "rapporti" professionali tra avvocati e magistrati che lavorano nello stesso distretto. «Mi permetto di dissentire - ha ribattuto a stretto giro il deputato di Azione Enrico Costa - meglio un po' di sana competizione per individuare i più bravi o essere in mano alle scelte delle correnti? Oggi il 99% di valutazioni sono positive: o sono tutti geni o qualcosa va cambiato».
Il segretario Salvatore Casciaro parla di una visione «iper-produttivistica» sottesa alla riforma, che «stringe il magistrato nella morsa della produttività ben oltre quella che già viene garantita e che è tra le più alte nel quadro europeo. E l'Europa non ci chiede solo di intervenire sui tempi ma mette anche al centro l'indipendenza della magistratura».
Sulla separazione delle funzioni tra pm e giudici - la riforma in Parlamento riduce la possibilità di cambiare da quattro volte a due - Santalucia critica gli eccessi: «Distinguere troppo significherebbe isolare il pm all'interno dell'unicità delle carriere». La separazione (totale) delle funzioni è anche uno dei quesiti referendari ammessi dalla Corte Costituzionale su cui le toghe sono in larga parte compatte per il no.
E anche sullo stop alle porte girevoli tra politica e magistratura, con l'introduzione del divieto di tornare a fare i magistrati per gli eletti, l'Anm ravvisa «profili di criticità nei confronti del
parametri costituzionali. Abbiamo chiesto da tempo di intervenire su questo tema - ha spiegato Casciaro - ma il meccanismo di aut-aut per cui chi si candida perde il suo originario posto di lavoro è un profilo di criticità».
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