
Mentre l'Anm si accapiglia con la politica parlando di un'emergenza sicurezza «appena percepita» un magistrato tutto d'un pezzo che sta in trincea getta la spugna dopo 29 anni e rinuncia a una carriera già decisa «per esercitare in prima persona l'antimafia sociale». Antonio Laronga non diventerà il procuratore capo di Foggia, poltrona che sembrava disegnata per lui dopo il suo quasi trentennale impegno contro la Quarta mafia, la spietata criminalità foggiana che ha occupato manu militari un territorio e non ha intenzione di arrendersi. Dopo una vita sotto scorta, passata rinunciando a tutto, il magistrato si è arreso. «Non vado da nessuna parte. Non faccio vita pubblica, non vado a teatro, non vado al cinema», dice il pm all'edizione locale del Corriere della Sera, non stringe mani a nessuno per «il dovere di marcare una distanza, di respingere una contiguità», per non esporre gli uomini della sua scorta a «pericoli non necessari».
Quali? Il rischio, da foggiano, di essere percepito come contiguo allo sfascio morale di Foggia (simile a quello di tantissime altre realtà, da Reggio Calabria a Palermo) perché «un uomo dello Stato deve marcare la distanza dalla linea grigia che ha inquinato questa città», non stringendo mani a chiunque lo chieda per significare «non sono come te», invece Laronga passa per essere strano, anzi superbo.
Foggia è una delle otto «periferie» scelte dal governo di Giorgia Meloni per restituire al territorio la legalità perduta come successo a Caivano. Chi conosce il territorio come il poliziotto foggiano Pietro Paolo Mascione, presidente di Invisibili, che ne ha parlato in commissione Antimafia, la Capitanata (la provincia di Foggia, ndr) è ostaggio della «Società», un mix involontario tra famiglie storiche e bande di stranieri, come albanesi, romeni e bulgari che forniscono armi e droga alla criminalità foggiana, trafficano rame e sfruttano la prostituzione fino ai magrebini specializzati in furti d'auto con collegamenti in Polonia ma anche nel caporalato, con migranti e clandestini in condizioni disumane, con la complicità di numerosi e spregiudicati imprenditori agricoli e il rischio che lo sversamento illegale di rifiuti nelle campagne e il business miliardario che genera renda presto il Foggiano una nuova Terra dei fuochi, vista la presenza di criminali foggiani in diverse inchieste di altre Procure italiane. Dal Gargano a Cerignola e San Severo le famiglie Sinesi-Francavilla, Moretti-Pellegrino-Lanza e Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese sono impegnate a reclutare giovani vulnerabili attraverso «scuole criminali», mentre faide come Tarantino e Ciavarrella hanno insanguinato la città.
A turbare questo magistrato è il silenzio dei buoni, della borghesia mafiosa e complice, dove si concretizza l'idea che «vivere onestamente sia inutile» come profetizzava Corrado Alvano, è il tradimento della società civile «che ha smarrito ogni senso morale», vittima di «un tracollo etico», con
campagne elettorali che diventano «la più grande discarica di interessi privati e malaffare». Mentre Foggia perde un grande inquirente, la magistratura si accapiglia per non perdere i suoi privilegi. Eccola, la giustizia. FMan
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