C' è un'insegna ai piedi dell'edificio, al 36 del Quai des Orfèvres. «Sede della polizia giudiziaria si legge- resa celebre dal commissario Maigret, personaggio dei romanzi di Georges Simenon. Possiede anche un ricco passato storico, malgrado risalga al XIX secolo e la sua torre d'angolo sia un pastiche medievale del 1911. Prende il nome dagli orefici che si erano stabiliti sul quai, costruito tra il 1580 e il 1643». Adesso che la «Crim», la polizia criminale, si trasferisce nei modernissimi uffici in rue Bastion, sempre al numero 36, nel Nord Ovest della città, «una pagina di storia si chiude», ha commentato il prefetto di Parigi. Vale la pena aprirla un'ultima volta.
I film, innanzitutto. Il più celebre, e il più classico, è quello di Henri-George Cluzot del 1947, che ha proprio quel nome per titolo (in Italia diverrà Legittima difesa). C'era Louis Jouvet, nei panni dell'ispettore Antoine, Bernard Blier, in quelli del principale sospettato e l'atmosfera nera e glaciale di quella Francia del primo dopoguerra, dove la società era un covo di vipere... Una dozzina d'anni fa, Olivier Marchat ne ha rinverdito i fasti con 36 Quai des Orfèvres, schierando fra l'altro Daniel Auteil, Gérard Depardieu e André Dussolier, in una storia dove però si capisce quanto e come il tempo sia passato. Qui la polizia lotta contro se stessa, sgambetti, tradimenti, carriere distrutte, vendette. È suo il nido di vipere e questo per Jouvet, come per Maigret, sarebbe stato impensabile.
Maigret, dunque. È inventato talmente bene da essere diventato vero e infatti ci sono anche le sue Mémoires... Nel 1913 c'è già La prima inchiesta di Maigret ed è allora che per la prima volta entra al mitico «36»: «Era in un ufficio le cui finestre davano sulla Senna, un ufficio che non somigliava per nulla a quello del suo commissariato di quartiere. C'erano degli uomini seduti davanti a dei telefoni o a degli incartamenti; un ispettore, una coscia sul tavolo, fumava tranquillamente la sua pipa; tutto era vivo, un ronzio incessante, un atmosfera di trasandato cameratismo». Per respirarla avrebbe dato chissà cosa... Quattro anni più tardi ne entrerà ufficialmente a fare parte e ne scalerà in seguito tutti i gradini, tranne, per sua scelta, quello di Direttore della Polizia giudiziaria. È e vuole restare «il commissario».
Nella grande corte interna del Quai ci sono le macchine di servizio. Panhard e Levassor negli anni Venti, Citroën e Renault Monaquatre negli anni Trenta. In Maigret si sbaglia, l'ispettore Janvier, che lo accompagna, guida una Citroën 15 Cv, più tardi una Peugeot 403. Maigret, si sa, non ha la patente.
A sinistra della corte c'è la scalinata d'ingresso. Muri scrostati, atmosfera grigia, gradini consunti, allora come oggi. Se si sale sino ai tetti si arriva ai laboratori della scientifica. Ai tempi di Maigret, c'era un manichino su cui venivano messi i vestiti della vittima per meglio precisare i punti d'impatto sul corpo. Esiste ancora, ma è in metallo. Sopra i laboratori ci sono gli archivi. In Maigret e la giovane morta l'ispettore osserva «i dossier allineati di tutti quelli che hanno avuto a che fare con la giustizia. L'impiegato portava un camice grigio che lo faceva somigliare a un magazziniere e l'aria sapeva di vecchia carta, come in una biblioteca pubblica». Se invece si sale al secondo piano, c'è la sala d'attesa. Separata dal corridoio, largo e stretto, da una vetrata, ha qualche sedia di velluto verde e sul muro la lista dei poliziotti uccisi in servizio. C'è un usciere in divisa, con tanto di catena d'argento al petto, «il vecchio Joseph» simenoniano, il via vai è continuo: testimoni e sospettati che arrivano, ispettori che partono, a volte un giornalista, spesso il garzone della brasserie Dauphine, il cui vero nome era Aux Trois Marches.
Maigret, quello vero come quello di fantasia, sta al terzo piano. Da qui puoi vedere il Pont Neuf, anche se Simenon concedeva al suo commissario la licenza poetica di vedere il Pont Saint-Michel. La vista della Senna è per chi indaga come una boccata d'aria, tanto più necessaria dopo quei «combattimenti di belve» che in La pazienza di Maigret, vedono affrontarsi poliziotti e criminali. Spesso confessano prima i più intelligenti rispetto ai più brutali, sempre sono le donne a rivelarsi le più coriacee.
Dietro la figura di Maigret c'erano naturalmente dei commissari in carne e ossa, Marc Guillame e Georges Massu su tutti.
Dal primo Simenon prese il cosiddetto interrogatorio «à la chansonette», apparentemente evasivo, svagato. I suoi casi più celebri saranno l'affaire Stavisky e quello di Violette Noziéres. Di Massu è celebre la frase, ripresa da Simenon in Maigret, Lognon e i gangster, che «l'assassino è sempre un imbecille»...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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