«Per tutta la giornata di giovedì mio padre ha minacciato mia madre anche pesantemente, di morte. Così quando è rientrato a casa si è buttato addosso a lei e ha cercato di strangolarla. Tutti noi, i miei fratelli e la ragazza che stava facendo ripetizione a loro, abbiamo cercato di fermarlo L'ho preso a pugni. Lui mi ha aggredito e così io ho afferrato il coltello e mi sono difesa». La ricostruzione di Makka Sulaev, la diciottenne di origine cecena accusata di aver ucciso a coltellate il padre Akhyad a Nizza Monferrato, ha convinto i giudici e così la giovane non andrà in carcere. Lo stato di fermo nei suoi confronti non è stato convalidato, resterà nella comunità protetta in cui si trova da qualche giorno, agli arresti domiciliari e con il braccialetto elettronico, ma potrà continuare gli studi a distanza anche senza andare a scuola.
La decisione del gip Riccardo Ghio «risolve» in questo modo il dilemma giudiziario ma anche etico seguito all'uccisione dell'uomo. Le violenze familiari infatti sarebbero state continue, sia nei confronti della moglie che della figlia maggiorenne. Forse anche dei suoi tre fratellini, tutti minorenni, portando l'ipotesi della legittima difesa nei confronti del padre-orco a prevalere su quella dell'omicidio. E portando alla memoria il caso di Alex, che nel 2020 uccise a coltellate il padre a Collegno. Il ragazzo ha sempre sostenuto di averlo fatto per difendere la madre, il fratello e se stesso dalle violenze del padre, ma dopo l'assoluzione in primo grado è stato condannato in appello a 6 anni 2 mesi e 20 giorni.
Almeno per il momento invece, per Makka tutta un'altra storia. Nell'udienza di ieri la ragazza, che frequenta con profitto il terzo anno di liceo scientifico e lavorava come cameriera per aiutare in casa, ha ricostruito per oltre un'ora le fasi della lite, lo scontro e le dinamiche familiari che hanno portato al tragico epilogo. La ragazza aveva già raccontato che il padre era un esperto di karate e arti marziali e per questo sapeva bene come e dove colpire moglie e figli, in modo che i lividi sul corpo non fossero visibili. «Ma ci ha sempre picchiate», ha detto. Davanti al giudice sono anche emersi numerosi messaggi che la ragazza aveva inviato alla sua migliore amica raccontando le violenze subite. «Il giudice ha compreso che non c'era alcun motivo per mandarla in carcere. Vista la particolarità del caso non c'è un pericolo né di fuga né di commettere un altro reato del genere. In caso contrario si sarebbe aggiunta altra sofferenza», ha spiegato il legale della giovane.
Makka, arrivata in tribunale in jeans e velo nero scortata dai carabinieri, è scoppiata in lacrime alla lettura del
dispositivo da parte del giudice e uscendo dall'aula ha ringraziato il suo avvocato. Per lei l'incubo non è finito e almeno in parte resterà sempre, ma perlomeno da ora in poi potrà tornare a vivere sena la paura del padre orco.
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