La grande fuga dai seggi. Disinteressati alla politica e pagati 4 euro all'ora - altro che salario minimo - presidenti e scrutatori hanno rinunciato, e non si sono presentati. Da Palermo a Milano, una «morìa» di incarichi.
È già successo altre volte negli ultimi anni, ma ieri peggio del solito. Tanto che assicurare il regolare svolgimento delle operazioni elettorali è diventata un'impresa, da garantire con mezzi al limite della disperazione, compresi gli appelli sui social e il reclutamento dei passanti. «Chi può, venga ai seggi», non è stato solo un appello al voto, dunque, ma un appello a presentarsi per consentire ai cittadini di votare.
A Palermo, ieri, la diserzione è stata altissima. Sarebbero oltre 1.500 quelli che non si sono presentati di mattina ai seggi. Il Comune ne aspettava 2.400. Oltre la metà non si è presentata, quindi. «Nel mio seggio - ha spiegato uno scrutatore - su 4 previsti, mancavano tutti e quattro. Siamo dovuti andare per strada per cercare di recuperare qualcuno che fosse disposto a sostituirli».
Chiamate last minute e una «campagne-lampo» sui social anche a Cagliari, per arginare il boom di rinunce. Il Comune ha fatto sapere che le defezioni hanno superato quelli registrati per le regionali di febbraio, anche se alla fine anche nel capoluogo sardo - dove si vota anche per il sindaco - sono state insediati regolarmente le 210 sezioni previste.
Scene simili si sono viste un po' ovunque. A Milano, a Bari, a Genova. Scene simili si erano viste anche negli anni passati, a dire il vero, soltanto che dal 30-40% di rinunce si è passati a percentuali di rinuncia che ormai sfiorano la metà degli incarichi. Ad aggravare la situazione, l'inedito sabato elettorale e anche le scuole chiuse, che hanno forse indotto a programmare le prime vacanze. Ma la dinamica è profonda, e ha a che fare con i cambiamenti del Paese. Un tempo, essere scrutatore era motivo di orgoglio. Nell'elettorato moderato, il notabilato e il ceto medio si prestavano con piacere. E a sinistra, i militanti politicizzati e istruiti in sezione consideravano un merito officiare al «rito» della difesa della democrazia. In seguito, era almeno conveniente partecipare. E, soprattutto, nelle tornate referendarie multiple, a volte è stato anche piuttosto redditizio. Ora non più. Con i compensi fermi - mentre i prezzi corrono - anche la retribuzione degli scrutatori è diventata ben poca cosa. L'ultimo ritocco non ha cambiato di molto la situazione. La paga, a conti fatti, è in media poco superiore ai 3,50 euro l'ora. Tra operazioni preliminari prima dell'apertura e scrutinio, l'impegno è di circa 30 ore solo tra sabato e domenica e le disposizioni ministeriali indicano un compenso di 138 euro per i presidenti di seggio e di 110,40 euro per i segretari e gli scrutatori. Dati simili rendono l'Italia fanalino di coda per i pagamenti. Non molto lontana solo la Spagna: i membri del «tavolo elettorale» prendono una diaria di 70 euro al giorno, quindi un totale di 140 euro.
Avendo verificato le rinunce degli anni passati, il 26 aprile il Viminale ha inviato ai prefetti una circolare che richiamava l'attenzione sull'anticipo al
sabato e sensibilizzando i sindaci a raccogliere «la preventiva disponibilità» dei propri elettori, anche non iscritti all'albo degli scrutatori. Le sezioni «ordinarie» da allestire erano 61.556. Anche stavolta è andata.
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