Dopo la mamma, il notaio: il coraggio di educare

Dagli Stati Uniti a Milano, quando gli adulti sfidano la violenza giovanile

Dopo la mamma, il notaio: il coraggio di educare

Certe «febbri» si curano solo a ceffoni. E certi ceffoni può assestarli solo una madre. Baltimora docet . Cercasi mamma disperatamente. Per gli antagonisti nostrani, per quelli che nostrani non sono ma arrivano lo stesso qui a rompere le balle (dalla Germania, dalla Spagna, dal Nord Europa, come se non ci bastassero quelli che abbiamo in casa) a sfasciare, imbrattare, tirare uova, sabotare una delle uniche cose che malgrado tutto, nonostante tutto, rischia di funzionare. Ci vorrebbe una madre, canterebbe Venditti. Santa donna quella ginnica, gagliarda, voluminosissima signora di colore che l'altro giorno è andata a (ri)prendersi il figlio riconosciuto in tv malgrado il passamontagna e il look da Diabolik, mentre manifestava contro la polizia Usa. Mani a badile e via: torna (...)

(...) a casa cretino, che sei il mio unico bambino e non voglio che rischi di farti ammazzare qui.

Ci vorrebbe una madre quando si arriva all'apice di una consolidata tendenza a sabotare se stessi. Perché alla fine è se stessi che si sabota quando si va a fare gli imbecilli per le strade dimenticandosi pure perché ci si è andati. Ci si veste di nero e si segue la massa, con le uova rubate dal frigorifero, i primi oggetti contundenti che si recuperano chissà dove e le bombolette prese dal ferramenta. Si va a sfasciare perché si è in età da duello, perché la rabbia è dentro e la si spara fuori a caso. Come contro quel signore in giacca e cravatta che ha osato appendere il Tricolore sul balcone di casa sua: tuorli, albumi e insulti. Come se la bandiera fosse una vergogna, uno straccetto da oltraggiare assieme a chi la usa come un vanto, o come una scontata appartenenza. In America per rispettare la bandiera si ammazzano e vanno pure a farsi ammazzare. E noi nemmeno chiediamo tanto, figuriamoci. Quel signore (sembra sia un notaio), che rimane composto, anche se mortificato e intristito davanti agli oltraggi, insegna tanto quanto la mamma di Baltimora. È nella sua città, a casa sua, con la sua bandiera. Del suo Paese. E gli arrivano addosso schizzi di rabbia. E non solo. E resta zitto, con lo sconforto che lo tiene in piedi. A guardare sotto, in strada: i disturbatori vestiti di nero che avrebbero forse bisogno di ricominciare dai cartoni animati e dall'alfabeto e da papà e mamma e dall'abc della vita. Perché c'è chi è essenza e c'è chi è senza.

Ma dove sono finite le nostre mamme, le mamme italiane, che passano per essere le più mamme di tutte? E che fine ha fatto il Tricolore, che passa per essere la più bandiera di tutte? Nell'immaginario comune erano due cose che esportavamo senza sosta: la mamma e il Tricolore.

Subito dopo la pizza e gli spaghetti. E adesso? Come li convinci, come li fai ragionare, come li possiedi, i posseduti? Cappuccio, spranghe e vernice: hanno la libertà di pensiero. Adesso che ci vorrebbe un pensiero, dov'è la mamma di Baltimora?

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