Animali e uomini contraddistinti da geni alieni. Così sta prendendo piede l'ingegneria genetica, un po' per curiosità scientifica, un po' perché si spera un giorno di poter fare vivere l'uomo a lungo e in salute. Ma ci sono moltissimi ma. Uno di questi cercherà di essere svelato nei prossimi due anni, con la ricerca condotta nella prestigiosa università di Harvard, in Usa. Obiettivo: riportare in vita il mammut. O meglio, qualcosa che appartenne a questo animale estintosi 4mila anni fa. I test sono già partiti.
Dal Dna di mammut congelato nel permafrost, il terreno ghiacciato delle alte latitudini. Oggi si utilizzano tecniche avanzate come la Pcr (Polymerase Chain Reaction) e l'impiego degli enzimi di restrizione, particolari proteine che hanno il potere di tagliuzzare i frammenti del Dna (nucleotidi). Così facendo siamo in grado di ricavare e selezionare specifiche sequenze genetiche che poi possono essere introdotte nel corredo genetico d'individui estranei. È quel che è accaduto anche con il professor Brian Hanley, che pochi giorni fa ha reso noto di essersi iniettato nei muscoli un gene extra per ottenere maggiore vigore e potenza. E così è stato fatto in numerosi esperimenti aventi come soggetti animali normali, ma con una (o più) particolarità x, derivante da una specie tassonomicamente lontana. E ora, appunto, tocca al mammut.
Il Dna dell'antico proboscidato verrà studiato e verranno selezionate una quarantina di caratteristiche genetiche; che si introdurranno all'interno di un embrione già formato per l'incontro fra lo spermatozoo e la cellula uovo di due pachidermi moderni. Il risultato sarà un embrione chimera, con cellule provenienti dal mammut e dall'elefante comune.
A questo punto si potranno percorrere due strade: fare sviluppare l'embrione in un'elefantessa surrogata o, addirittura, in un laboratorio. Più probabile la seconda ipotesi (anche se per questa possibilità ci vorranno come minimo dieci anni).
A che punto si è con gli studi? George Church, dell'ateneo statunitense, fa sapere che le prime cellule isolate e contenenti i geni dei due animali sarebbero già funzionanti. Dunque si tratta «solo» di innescare sperimentalmente un processo di mitosi, che ha come obiettivo quello di fornire abbastanza cellule da formare i tre foglietti embrionali (endoderma, ectoderma, mesoderma) da cui provengono tutti gli organi di un vivente. Sulla carta sembra semplice, ma la realtà potrebbe essere diversa. Va infatti considerato che questi procedimenti non sempre hanno successo. Un po' come accade con la clonazione. I fallimenti sono sempre dietro l'angolo. E poi c'è la componente etica, già sollevata dagli animalisti. Perché fanno presente che i mammut erano animali sociali, e non avrebbe senso dare vita a una specie che praticamente non si troverebbe bene né con gli antichi proboscidati della Siberia, né con gli elefanti moderni. È risaputo, infatti, che i pachidermi africani e asiatici hanno una grande capacità comunicativa e sanno distinguere molto bene i ruoli «sociali» all'interno di un branco. Da un punto di vista etologico, il dubbio è lecito. Perché nessuno vorrebbe che il primo mammufante della storia si venisse a trovare a vagabondare solitario per le savane (o le tundre) del pianeta, incapace di integrarsi con i suoi simili. Stando, infatti, alle promesse del team di Harvard, l'animale potrebbe essere davvero un perfetto mix fra le due specie.
Risposta che potremo avere solo nel 2019.Nel frattempo possiamo usare l'immaginazione, pensando a un elefante quantomeno originale, con le orecchie piccole, il pelo lungo e arruffato, e un sangue in grado di fare esistere l'animale a temperature rigidissime.
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