Crolla il sistema di potere del Pd, si dilania in una guerra fratricida il centrodestra, arriva in carrozza sulla strada per il Campidoglio la cinquestelle Virginia Raggi. Grillo si prepara alla marcia su Roma.
Volto nuovo e fresco, quello della giovane avvocata, che sfonda nell’elettorato di protesta e non solo, come rivendica un raggiante Alessandro Di Battista. «Non è un voto di protesta, ma è politica. Ora dobbiamo vincere». Concetti rafforzati poco dopo dall’aspirante numero uno del direttorio, Luigi Di Maio: «Gli italiani hanno fiducia in noi come forza di governo ». E poi dalla stessa Raggi, visibilmente commossa nella conferenza stampa intorno alle 2: «Siamo a un momento storico, potrei essere il primo sindaco donna... Stiamo ricostituendo lo spirito di una comunità. Il vento sta cambiando, siamo pronti a governare... Ci siamo! ». La Raggi non dimentica neppure di esprimere parole di cordoglio per il leghista Buonanno, morto in un incidente d’auto, e di precisare di «essere soltanto a fine primo tempo», che «non andremo a caccia dei voti, ma continueremo a lavorare per Roma». Parole e aspirazioni grosse, giustificate dall’euforia per un risultato che va ben oltre le previsioni, fino a superare quota 37,5 per cento e a portare M5S primo partito della Capitale, con un Pd in caduta libera ormai al 17 per cento.
Al quartier generale grillino si concorda sul fatto che «mai abbiamo fallito un ballottaggio, neppure quando siamo partiti secondi», e dunque non ci si preoccupa più di tanto per il sistema delle future alleanze, visto anche il possibile corto circuito tra gli elettori pidini e quelli di centrodestra. Diventa infatti un rovente duello all’OK Corral la sfida per il secondo posto. Il pidino Giachetti con il passare delle ore vede sgretolare quel gruzzoletto che sembrava arrivare al 28 per cento e poi invece si rivela un precipizio doloroso, fino al 22,4. Risale di minuto in minuto Giorgia Meloni, che dai rilevamenti interni dei Fratelli d’Italia pare reggere bene e vincere anche in molte zone «rosse» della Capitale. Al 23,3 per cento il sorpasso viene festeggiato nel quartier generale intorno all’una, ma il testa a testa prosegue fino a notte fonda.
Aria mesta nel comitato di Marchini, ancorato al 10-12 per cento. Così che, ancora una volta, l’autolesionistica dispersione di forze nel centrodestra suggerisce qualche riflessione: mai come ora, con il Pd al minimo storico, c’era la possibilità di vincere anche sui grillini. Elezioni nate male, sulla scorta dell’inchiesta devastante sui traffici di Mafia capitale e sulla crisi del partito-cardine della politica romana, il Pd, testimoniata anche da una sconvolgente inchiesta interna, affidata a Fabrizio Barca, e quindi subito insabbiata dal presidente (e commissario romano) del partito, Matteo Orfini. Elezioni anticipate in seguito all’operazione di «ripudio» del sindaco pidino ma marziano, Ignazio Marino, da parte di Matteo Renzi e dei suoi fedeli: un avvicendamento, nella mappa genetica del partitone erede del Pci e della Dc, su cui poco s’è detto ma che ha influito molto sui risultati e vanificato, con un dato intorno al 17%, l’impegno diretto di Renzi, mai venuto meno (neppure nella domenica delle votazioni).
Il governo arranca, il premier «non tira più». E neppure regge quella che Brunetta chiama «strategia della tensione » e che porta professori di corte, come D’Alimonte, a spararla grossa: «Una Ren-xit sarebbe peggio della Brexit per la Ue». Bum.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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