Con prontezza di riflessi, Enrico Letta ha intravisto lo spiraglio e ci ha infilato il piede: da 48 ore, tutti parlano della sua proposta di «patto di maggioranza» per blindare la Finanziaria. Anche se nessuno crede sia possibile evitare l'arrembaggio dei partiti, all'affannosa ricerca di bandierine da piantare, sulla manovra, e tutti guardano al dopo: ossia alle votazioni per il Quirinale, e al tentativo del segretario Pd di mettersi al centro della partita.
Letta vuole uscire dall'angolo in cui si era infilato con il patatrac della legge Zan, e approfittare di una congiuntura per lui estremamente favorevole, ossia la tempesta mediatica scatenata contro il leader di Italia viva Matteo Renzi, potenziale jolly del gioco quirinalizio che spaventa il Pd. Non a caso da giorni vengono alimentate (dal Nazareno, accusano i renziani) voci di possibili fughe dal gruppo di Iv. Con un Renzi all'angolo, per il Pd diventa più agevole tentare di intestarsi il dialogo con Berlusconi e Salvini (e la Meloni di complemento) sul futuro presidente.
Ma il terreno, su questo tema, si fa molto più scivoloso, e dal Pd stanno ben attenti a non sbilanciarsi troppo in avanti: così Simona Malpezzi, la capogruppo al Senato (dove sta iniziando l'esame della manovra), propone «un incontro, già nei prossimi giorni, dei capigruppo di maggioranza per trovare un metodo che consenta di lavorare bene sulla manovra in una fase difficile, con una comune assunzione di responsabilità». Mentre stamani Letta riunisce la segreteria Pd proprio sulla manovra, per sottolineare che il suo partito su quello si concentra: l'obiettivo, spiega, è quello di «non portare a Draghi un problema, ma di contribuire a risolverglielo». Il leader dem sottolinea con soddisfazione «la reazione generale di disponibilità a lavorare insieme» arrivata da Forza Italia e Lega. Stranamente, l'unico leader che non ha replicato all'appello alla responsabilità lanciato da Letta è stato proprio il suo alleato Giuseppe Conte. «Ma Di Maio ha risposto positivamente», sottolineano dal Nazareno. Facendo sorgere il sospetto che anche nel Pd si giudichi ormai più produttivo coordinarsi col ministro degli Esteri che con il capo politico grillino.
Ma l'afflato unitario sulla manovra si affievolisce non appena si entra nel merito dei singoli capitoli di spesa, che i diversi partiti sono ansiosi di accaparrarsi per i propri interessi elettorali: M5s che vorrebbe riaprire le cataratte per reddito di cittadinanza, superbonus e perfino il famigerato cashback; la Lega che (abbandonato il vessillo di Quota 100 al più anziano Landini) rilancia su flat tax e abolizione delle micro-imposte, e così via.
A dire che il re è nudo, e che il vero obiettivo non è la Finanziaria, ci pensa il Pd Stefano Ceccanti: «È certo che se i partiti sono in grado di fare un accordo sulla manovra, possono anche fare un accordo sensato su come si gestisce il voto per il Quirinale». La speranza di una parte dei dem è che questo preluda a «costruire una richiesta unanime del 90% del Parlamento per un Mattarella bis, per arrivarci subito anziché per logoramento», spiega un esponente di Base Riformista. Mentre una dirigente dem vede un percorso in cui Letta potrebbe «chiedere a Berlusconi di fare il nome capace di aggregare una maggioranza ampia: Amato, o una donna come Cartabia, Severino o persino Casellati». Dal centrodestra anche Maurizio Lupi dice che «il metodo Letta dovrebbe essere utilizzato per eleggere il presidente della Repubblica».
Ma da Forza Italia arriva un secco stop: «Meglio non confondere i due piani - avverte Maurizio Gasparri - ok al dialogo sulla manovra, ma sul Quirinale non ci faremo certo dettare la lista dal Pd. Di Letta abbiamo già Gianni, e ci teniamo il nostro, grazie».
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