Il sentimento nazionale è quella cosa per cui un popolo si sente unito, e orgoglioso di essere proprio «quel» popolo. È uno stato d'animo raro in Italia, dove viene esercitato da pochi o solo in certe occasioni: di preferenza all'estero, quando ci si sente costretti a darsi un'identità per contrastare quella altrui, o durante gli eventi sportivi, come quello che si è giocato ieri fra Italia e Germania.
I motivi sono noti, e poco allegri. Le divisioni secolari, prima di tutto, generatrici di un campanilismo esasperato. Ogni italiano si sente, e non di rado è davvero, diverso da chi abita a poche decine di chilometri più in là. Non potrebbe essere altrimenti, avendo vissuto per secoli in Stati che spesso si combattevano con la ferocia tipica delle guerre civili. Oltre al campanilismo vanno tenuti in conto l'individualismo e la sfiducia totale nelle istituzioni e nei loro officianti, visti spesso a ragione più come oppressori che come governanti. L'unica istituzione che per secoli ha tenuto insieme gli italiani fu la Chiesa, ma lo stesso giorno (17 marzo 1861) in cui il Parlamento assegnò a Vittorio Emanuele il titolo di re d'Italia, Pio IX dichiarò una vera guerra morale allo Stato «che accoglie nei pubblici uffici gli infedeli, apre ai loro figli le pubbliche scuole» dando «libero varco alla miscredenza». Il fascismo impose agli italiani una vera e propria cura da cavallo di amor patrio, e uccise il cavallo: per decenni, dopo la caduta del regime, «patria» è stata una parola sospettata di nostalgie inconfessabili, e quando la povera paroletta dal grande significato stava cominciando a rialzare la testa, è intervenuta l'Unione Europea a darle un'altra mazzata. «L'Europa dei popoli» non significa come dovrebbe, che è composta da popoli diversi, bensì che i popoli appartengono all'Europa, senza distinzioni fra loro.
Fra i pochi eventi che provocano vampate improvvise di sentimento nazionale, ci sono, purtroppo, i lutti. Terremoti, alluvioni, sciagure, ma in questo caso si tratta del buon cuore e della generosità che dobbiamo riconoscere al nostro popolo. La disgrazia, però, colpisce e ferisce di più se avviene all'estero, per quel senso di appartenenza che resuscita in ambito internazionale. Fu così per la strage di Marcinelle, in Belgio, che nel 1956 colpì oltre duecento minatori italiani. E per la sciagura del 1985 allo stadio Heysel, sempre in Belgio.
Una forte ondata di sentimento nazionale ci avvolse anche nel 2003, con l'attentato di Nassiriya, accresciuto dal particolare che a essere colpito fu l'esercito italiano, ovvero un'entità che ci rappresenta tutti. Ma è sempre e comunque il calcio a prevalere, a farci sentire popolo, e orgogliosi di esserlo. Nell'interesse degli italiani lo scontro Italia-Germania di ieri ha battuto 300 a 0 quello per lo scontro Italia-Olanda, che si contendevano un posto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Ora la strage compiuta a Dacca, forse ci preparerà a nuovi e più terribili attentati terroristici che dovessero avvenire sul territorio nazionale. Ma di certo a pochissime delle bandiere esposte ai balconi verrà aggiunto un nastro nero di lutto per la morte iniqua dei nostri connazionali.
Prevarrà, anche se la nazionale ha civilmente deciso di giocare con i segni del lutto, l'aspetto ludico del nostro sentirci italiani. Già mi dicono sarà vero? che molti hanno finalmente dato un senso alle misteriose parole dell'Inno di Mameli «Stringiamci a coorte», interpretandolo con un limpido, entusiasta, «Stringiamoci a Conte».@GBGuerri
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