È stato il maratoneta del Covid-19, ma alla fine si è fermato stremato, sul ciglio della strada. Ha vinto il virus, dopo sei mesi di battaglia, la più lunga in Italia.
Mario Fanelli, 64 anni di Cattolica, in provincia di Rimini, aveva preso il Coronavirus all'inizio di marzo, quando i casi si moltiplicavano e anche in Romagna gli ospedali si riempivano. È morto sabato, è stato quel numero uno alla voce dei decessi da Covid dell'Emilia-Romagna di quel giorno. In realtà si era negativizzato da tempo e il 5 settembre era stato anche dimesso dal nosocomio ma a ucciderlo sono stati gli effetti collaterali del virus.
La sua vicenda ha inizio il 5 marzo, quando il panico sta iniziando ad attaccare alla gola gli italiani e Mario si ritrova arruolato in questa guerra assurda. All'inizio una febbre alta, nessun altro sintomo, il tentativo quasi scaramantico di tenere a bada la malattia e la paura a casa, con i rimedi soliti, la Tachipirina presa con regolarità, un ottovolante con il termometro in mano ma nessuna angoscia, perché Mario altri sintomi non ne ha. Poi però, dopo una decina di giorni, le condizioni di Mario peggiorano e lui finisce intubato all'ospedale Infermi di Rimini. Ci resterà sei mesi, molto spesso sperando di avere sconfitto il mostro, altre volte facendosi prendere dallo sconforto. In tutto questo periodo, mezzo anno con un virus stronzo in corpo. Mario ha accanto la moglie, Tosca Giannini, a cui ora tocca il compito di raccontare Mario e gli ultimi sei mesi di vita. A lei che peraltro ha pure dovuto battagliare contro il virus, prendendoselo ma limitandosi a una febbriciattola, a qualche colpo di tosse e a una cinquantina di giorni in una quarantena auto-inflitta per rispetto degli altri. Perché così si fa. E ora Tosca, dopo aver perso il suo Mario, compagno di quarant'anni di vita (anniversario festeggiato in ospedale), non fa sconti a coloro che raccontano che il Coronavirus si è indebolito, che portare la mascherina è da sudditi o da sfigati (o da entrambe le cose), che bisogna tornare a vivere come nulla fosse. «Quando sento le persone che dicono che il virus non esiste, che è più debole, che non si vogliono mettere le mascherine, mi prende una rabbia immane - dice la moglie al Corriere di Romagna -. Non lo sanno cosa abbiamo passato, una cosa che non auguro neanche al mio peggior nemico».
Mario Fanelli era un elettrotecnico e stava sempre in contatto con la gente, cosa che forse lo ha condannato. Ai suoi funerali c'era un migliaio di persone, ognuno un pezzetto di amore. Lui non aveva patologie pregresse, soffriva solo di pressione alta e per questo prendeva delle pillole. Quando il virus lo aveva perquisito gli aveva danneggiato i polmoni, lo stomaco, il cuore, la pleura.
Interventi su interventi, l'ultimo disperato ancora pochi giorni prima del decesso. Così quando il virus si era ritirato aveva lasciato una situazione compromessa, che ha condannato Mario. Il Covid stavolta non è stato il killer ma il mandante.
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