Così, tanto per non fare troppi giri di parole: «La Repubblica è fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista». E, per essere ancora più chiari: «Ora e sempre resistenza». A Boves, dove tutto è cominciato, Sergio Mattarella, fissa con un discorso molto netto i valori dai quali è nata l'Italia moderna, quella «rivolta morale di patrioti» che ha combattuto il regime e l'occupazione tedesca lottando «per il riscatto nazionale». Insomma non si scappa, sono questi i binari del nostro vivere civile, è questa la strada in cui, destra e sinistra, ormai «tutti si riconoscono». E gli scontri degli ultimi 15 giorni? I distinguo? Le incertezze di alcuni esponenti di FdI? Il Paese è forte e saldo, dice il capo dello Stato, quindi ora basta, è il momento di lasciar decantare le polemiche. Del resto Giorgia Meloni ha chiarito, ha detto che la destra parlamentare «è incompatibile con nostalgie del fascismo». E sarà pure poco più del minimo sindacale, ci sarà ancora una sfumatura lessicale da sistemare, però al Quirinale la sostanza dell'intervento della premier è piaciuto. «Un passo avanti verso la pacificazione del Paese».
Certo, una cosa è pacificare e un'altra parificare. Dopo la cerimonia romana all'Altare della Patria, fianco a fianco con la Meloni, Mattarella vola infatti a Cuneo in uno dei luoghi simboli della lotta per la libertà, nella terra delle «centinaia di medaglie al valore, dei 12mila partigiani, duemila caduti in combattimento e 2.600 vittime delle stragi nazifasciste», perché «è qui che la Repubblica celebra le sue radici e la sua festa della Liberazione». Cita Piero Calamadrei: «Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la Costituzione, salite per queste montagne». Non è preistoria, perché anche adesso, spiega, dobbiamo seguire «la scia di quei visionari che nel pieno della tragedia della guerra e le macerie disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà». Sono passati quasi 80 anni, ma «la coesione sociale è tuttora un cardine della società».
Eccoci dunque al 25 aprile, «la festa dell'identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo». Un «moto di popolo» che ha avvicinato persone di «culture e famiglie politiche diverse» e che ci ha aperto una prospettiva di Europa unita. Perciò la Carta, ricorda il presidente, «è stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo», ha riaffermato «la sovranità e la dignità di ogni essere umano sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata», ha stabilito «il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali come a un patrimonio prezioso».
Il risultato è ottimo, oggi abbiamo «una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso ai cittadini di raggiungere risultati inimmaginabili».
E per chiudere il presidente elenca quanti nella vita di tutti i giorni onorano la Resistenza. Medici e infermieri «che non si risparmiano per la salute degli altri», come abbiamo visto durante la pandemia.
I lavoratori «che con il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida la nostra economia». Chi paga le tasse. Il «popolo del volontariato». I ragazzi che si battono per l'ambiente. E tutti coloro che «con coscienza adempiono al loro dovere pensando al futuro delle giovani generazioni».
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