La strada stretta di Matteo Salvini inizia ufficialmente oggi pomeriggio, sull'asse Roma-Bruxelles. Mentre il leader della Lega sarà seduto nella Sala della Regina della Camera davanti al premier incaricato, la plenaria dell'Europarlamento voterà infatti l'approvazione definitiva della governance del Recovery fund. Sarà, insomma, la prima vera prova del fuoco della svolta che l'ex ministro dell'Interno è intenzionato a imprimere al Carroccio con il sostegno al nascente governo guidato da Mario Draghi. E non solo perché uno dei principali argomenti di Salvini a favore del suddetto esecutivo è la necessità di sedersi al tavolo che gestirà i 209 miliardi di fondi Ue destinati all'Italia, ma anche perché a Bruxelles il Carroccio è stato fino a ieri su posizioni incompatibili con tale scelta. Neanche un mese fa, infatti, la Lega - come pure Fratelli d'Italia - in commissione aveva scelto di astenersi sul provvedimento, aprendo peraltro una dura polemica con gli eurodeputati di Pd e M5s, rei di aver votato «a favore dell'austerità».
Ma, si sa, in politica qualche settimana può equivalere a un'era geologica. E oggi la situazione è ribaltata. Con una Lega che si è riscoperta europeista e responsabile, forse più velocemente di quanto i suoi stessi dirigenti siano in grado di metabolizzare. Ieri, non a caso, i 29 eurodeputati del Carroccio si sono letteralmente spaccati sull'eventualità di votare «sì» al Recovery. Condizione necessaria, politicamente parlando, affinché la Lega possa appoggiare il nuovo governo. «Come possiamo astenerci sul Recovery a Bruxelles mentre a Roma diciamo di voler appoggiare Draghi proprio per fare le sentinelle dei fondi che arriveranno?», obiettava ieri Giancarlo Giorgetti a chi gli chiedeva numi in proposito. Considerazione sulla quale era perfettamente in sintonia lo stesso Salvini, tanto da dare mandato al capodelegazione a Bruxelles Marco Zanni di «trovare il modo per votare sì». Scelta non così facile, se alla fine di una lunga giornata il Carroccio è costretto a tirare la palla in tribuna, rimandando ad oggi ogni decisione. Peraltro, con un'argomentazione non proprio lineare. «Prima di fare una scelta definitiva, attendiamo l'incontro con Draghi», fanno sapere dal gruppo leghista di Bruxelles, come se l'ex presidente della Bce avesse il potere di riformulare il provvedimento che sarà votato stasera. Nel frattempo, forse per lanciare messaggi meno equivoci, lo steso Zanni - presidente del gruppo Identità e democrazia - decide di attaccare il suo vice, l'esponente di Afd Jorg Meuthen. Perché? Per difendere Draghi, preso di mira dall'eurodeputato dell'ultradestra tedesca. Solo un mese fa sarebbe stata fantapolitica.
E invece tutto è in movimento. Con l'eurogruppo di Id che rischia di esplodere se davvero la Lega continuerà nella sua svolta. E con Salvini che potrebbe ritrovarsi senza un gruppo parlamentare di riferimento a Bruxelles. L'eventuale adesione al Ppe, infatti, è un percorso per nulla breve e accidentato, la cui premessa è che cadano i veti sull'ex ministro dell'Interno. Per usare le parole di Elmar Brok, storico braccio destro di Angela Merkel, «non basta dire sì a Draghi per entrare nel Ppe».
Insomma, se davvero il «contro-Papeete» andrà in porto, la strada davanti resta lunga e tortuosa. Quello della moderazione e del filoeuropeismo, infatti, è un vestito che a Salvini va stretto.
Un conto è indossarlo qualche settimana, altro è farlo diventare la divisa d'ordinanza per oltre un anno. Non si voterà, infatti, prima della primavera 2022. E solo se davvero Draghi finirà per traslocare al Quirinale. Altrimenti le urne potrebbero arrivare anche nel 2023.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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