Matteo incorona Gentiloni ma vuole l'investitura del Pd

Domani la Direzione per garantire unità sul ministro Renzi non si farà vedere fino all'assemblea del 18

Matteo incorona Gentiloni ma vuole l'investitura del Pd

L'annuncio arriva a sera, alla fine delle consultazioni e dopo il discorsetto di Mattarella: la direzione del Pd è convocata per domani alle 12. La traduzione è univoca: l'investitura di Paolo Gentiloni è cosa fatta, e Matteo Renzi la vuol far votare a stragrande maggioranza dal parlamentino del partito per sanzionare che il Pd ha un solo nome ed è unito su quello.

Lui, Renzi, in quella direzione non ci sarà: se ne tornerà a Firenze, verrà rapidamente a Roma solo per la cerimonia della «campanella» da passare al nuovo premier e poi sparirà fino all'assemblea Pd del 18 dicembre, dove lancerà la sua campagna congressuale. «Le chiavi dell'alloggio di Palazzo Chigi le ho già riconsegnate», dice.

Nel frattempo, il futuro presidente del Consiglio incaricato chiuderà il rebus della costituzione del governo e l'incastro di ministri e sottosegretari, in modo che il nuovo governo possa partire con la fiducia già mercoledì.

La delegazione del Pd è salita al Colle per ultima, ieri, e nel colloquio con il capo dello Stato non ha fatto nessun nome: «Abbiamo garantito il sostegno del Pd alla soluzione che il presidente Mattarella riterrà più opportuna», ha detto il capogruppo al Senato Luigi Zanda davanti ai giornalisti che attendevano il verdetto. E poi ha aggiunto: «L'obiettivo è sempre quello di andare al voto in tempi il più rapidi possibili». Secondo i maligni, la frase Zanda l'ha pronunciata con un certo sforzo (nella sua ultima intervista, il presidente dei senatori Pd auspicava un orizzonte 2018 per il nuovo esecutivo), ma quello era il mandato preciso avuto dal leader Pd: sottolineare l'approdo ravvicinato, perché le elezioni anticipate nel 2017 restano la scommessa di Matteo Renzi. Dopo le dichiarazioni senza nome della delegazione Pd, è ripartito il tam tam del Renzi bis: un'ipotesi messa sul tavolo da due forze di maggioranza, Ncd e Ala e secondo i retroscena caldeggiata anche dal capo dello Stato. La risposta di Renzi, per tutto il giorno, è stata netta con tutti gli interlocutori che sollevavano più o meno disinteressatamente l'argomento: «Non ci penso nemmeno». Le frasi sibilline di Mattarella, che a fine giornata ha calcato la mano su un agenda fitta di appuntamenti «interni, europei ed internazionali» per il prossimo governo e si è riservato di «valutare quanto emerso» e «prendere le iniziative necessarie», sono apparse come un modo di rimettere il Colle al centro della partita. Proprio mentre la crisi sembrava dipanarsi tutta a Palazzo Chigi, dove Renzi riceveva anche ieri un via vai di ministri e dirigenti Pd, con l'obiettivo di far convergere il partito sul nome di Gentiloni. Ma il vero braccio di ferro con il Quirinale non è per l'oggi: è rimandato a quando Renzi vorrà accelerare la scadenza del governo per votare ad aprile (o al massimo a giugno) e Mattarella, prevedibilmente, farà resistenza. Anche la partita dei ministri ha molto a che fare con la durata del governo: il leader Pd lo vuole snello e senza nuovi inserimenti di nomi di peso, proprio per segnarne la provvisorietà. Ampie fette di Pd, invece, tirano nel verso contrario, sperando in una durata di legislatura.

Una casella fondamentale da riempire è proprio quella lasciata vacante da Gentiloni: e così, mentre i renziani vorrebbero sostituire il ministro degli Esteri uscente con il nome «tecnico» di Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina, la corrente franceschiniana di AreaDem preme per Piero Fassino, ex sindaco di Torino e grande esperto di politica internazionale.

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