Fase due. Rilancio. Ripartenza. Non dice proprio così, non pronuncia queste parole Giorgia Meloni nelle sue comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio Ue, però insomma, il succo è chiaro: basta polemiche interne, «sentiamo forte la fiducia degli italiani alle nostre spalle», è l'ora di proseguire sul programma perché tanto «resteremo fine al termine della legislatura». E quindi migranti, debito, green economy, rotta balcanica, Tunisia, Israele, nuove regole comunitarie. Non c'è solo l'Europa dunque, nell'intervento di una premier che si sente salda, ma tutti o quasi i punti dell'agenda del centrodestra. «Vi vedo nervosi - dice all'opposizione - Il taglio dell'Iva sui prodotti per la prima infanzia non ha funzionato e lo abbiamo tolto. Avreste dovuto fare lo stesso con il superbonus». E Fitto alla fine si congratula: «Li hai asfaltati».
Per il resto, clima quasi di concordia istituzionale. Giorgia parla di Hamas, di Gaza, del «terrificante attacco del 7 ottobre», degli ostaggi, del sostegno all'Ucraina. La fedeltà atlantica è indiscussa, infatti ottiene applausi bipartisan pure sull'invito a «evitare la trappola della radicalizzazione». Più agitata la parte politica del discorso, sul bisogno di frenare i flussi, legati al pericolo terrorista. È «evidente», spiega, che Shengen «possa andare in frantumi», perciò l'unico modo «per evitare la deriva e difendere i confini esterni dell'Unione». L'Italia si è già portata avanti con il ripristinando i controlli con la Slovenia perché «l'intelligence conferma che dalla rotta balcanica possono arrivare i maggiori rischi». Ci pensi pure l'Europa. «Ursula von der Leyen ha inviato una lettera al Consiglio annunciando un provvedimento per rafforzare il quadro giuridico e le politiche di contrasto al traffico di esseri umani».
Poi però serve pure il dialogo. La Meloni è andata apposta al Cairo, unica leader oltre Al Sisi, proprio «perché considero vitale il contatto con i Paesi arabi e musulmani, con l'Italia che svolge storicamente un ruolo di ponte per scongiurare uno scontro di civiltà». Un esempio. «La partnership con la Tunisia è strategica, non un accordicchio. Per la prima volta il numero degli ingressi irregolari è diminuito, hanno visto che noi abbiamo un approccio diverso». Stesso atteggiamento, si spera, lo terrà la Ue. «La redistribuzione non sarà mai la soluzione definitiva». Intanto a Bruxelles ci sarà da battagliare sul Patto di stabilità: tornare ai vecchi tetti rischia di soffocarci. «Occorre una riduzione del debito graduale, con regole credibili. Lo possiamo dire dall'altro della nostra serietà di quest'anno, con politiche fiscali e di bilancio responsabili, con la fiducia dei risparmiatori e il successo dei titoli di Stato». Però dal calcolo, sostiene la premier, «vanno scomputati gli investimenti nella transizione digitale, nel green e nella difesa, altrimenti sarebbe un controsenso: si minerebbero sia la sostenibilità che la sicurezza». Prudenza sul verde. «Un processo a tappe forzate è un errore, si rischia di far pagare il prezzo ai cittadini e dipendere da Paesi terzi. Meglio un approccio pragmatico». Meloni rilancerà l'idea del pacchetto, cioè un tesoretto comune per sostenere l'Ucraina e «l'assistenza al vicino Sud e Africa». È la piattaforma Step, «primo embrione di un fondo sovrano della Ue». La quale Unione, secondo Giorgia, ha parecchio da farsi perdonare. «Non abbiamo avuto l'Europa che ci serviva.
Finora si è occupata di temi che potevano essere lasciate a competenze nazionali e non di grandi strategie». Quanto alle riforme, non sembra ottimista. «Non penso che la questione Ue si risolva modificando la regola dell'unanimità, non funzionerebbe comunque. Non perdiamoci in cose minime».
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