"Mia figlia da quel giorno è un corpo che cammina"

Al processo per stupro a Grillo jr. la testimonianza della madre della vittima. La difesa punta su una foto

Ciro Grillo
Ciro Grillo

Una foto in costume da bagno. Questa è l'unica risposta che gli avvocati di Ciro Grillo e degli altri imputati di stupro di gruppo offrono ieri all'angosciante racconto della madre di S., la ragazza che li ha denunciati. La donna ha parlato di una figlia distrutta. I difensori legali replicano che un mese dopo, su una rivista apparve una immagine della giovane in costume da bagno.

Poco, forse, per dissipare quanto nelle otto ore dell'udienza - la più lunga dall'inizio del processo - davanti al tribunale di Tempio Pausania hanno raccontato il padre e la madre di S. Loro non c'erano, la notte del 16 luglio 2019, nella villa di Beppe Grillo ad Arzachena. Ma c'erano nei mesi e negli anni successivi, dopo che la studentessa e modella aveva scelto di denunciare i ragazzi da cui aveva accettato l'invito per una sera di festa. «Mia figlia era una persona diversa, da quel momento ha iniziato un periodo tragico in cui era solo un corpo che camminava», racconta la madre ai giudici. E ancora: «Mi disse sono stufa di sentire il mio respiro"»; «ancora oggi non riesce a stare con la luce spenta in camera»; «dopo lo stupro ha avuto disturbi alimentari importanti».

Sono immagini forti, che faticano a conciliarsi con la versione di quella notte offerta dai quattro amici. «Abbiamo avuto rapporti sessuali ma lei era consenziente», hanno sempre detto. Ma come potesse essere consenziente una ragazza costretta a bere fino a stordirsi non è chiaro. Ieri uno degli avvocati dice ai giornalisti: «Era solo un corpo che camminava e aveva paura del buio? Ma, a dire il vero, l'istruttrice di kitesurf ha detto in aula che all'indomani la ragazza stava benissimo e che era in ottima forma...». In realtà il 16 novembre scorso, davanti al tribunale di Tempio, l'istruttore di kitesurf Marco Grusovin descrisse una scena ben diversa: «Ricordo che la ragazza mi disse di avere subito una violenza sessuale e di stare molto male».

Ora arrivano i racconti dei genitori di S. «Le deposizioni dei genitori - dice Giulia Bongiorno, che è il legale di parte civile insieme a Dario Romano - documentano il calvario non di una singola vittima ma di una famiglia intera, perchè il dolore dilaga come in un sistema di vasi comunicanti. Non ci sono dighe in grado di arginare la sofferenza derivante da un fatto così grave».

Il problema, per la difesa di Grillo e dei suoi amici, è che la testimonianza dei genitori di S. arriva dopo altre deposizioni che hanno consolidato l'ipotesi della violenza sessuale. «È stata una testimonianza autentica, mai un'incertezza, colma di sofferenza. Riteniamo che possa essere di grande rilevanza nella ricostruzione del caso», dice l'avvocato Romano. Anche i genitori depongono sotto giuramento, ma la loro percezione può essere condizionata dall'affetto per la figlia: e infatti l'avvocato di uno degli imputati liquida la deposizione con «la mamma ha fatto la mamma». Invece esperti imparziali come i medici della clinica Mangiagalli dove l'italo-norvegese venne visitata hanno attestato la verosimiglianza dell'accusa: «Nove giorni dopo i fatti la ragazza presentava le tipiche sintomatologie delle vittime di uno stupro». Secondo i medici dell'ospedale milanese, S. «non ha ancora superato il trauma».

Ieri nell'aula del processo entrano anche decine di sms. Ci sono i messaggi scambiati tra S. e la madre dopo la notte di Arzachena, in cui poco alla volta la ragazza sceglie di aprirsi, fino alla decisione di presentarsi ai carabinieri di Milano e sporgere denuncia. Ci sono anche i messaggi in norvegese, in cui S. si confida con un'amica. Sono tutti tasselli che alla fine il tribunale presieduto dal giudice Marco Contu dovrà ricomporre. Alla prossima udienza toccherà a due amici di S.

, che raccolsero le sue confidenze nei giorni successivi. E poi l'udienza decisiva, in cui davanti ai giudici dovrà presentarsi lei, S. Insieme alla amica che era con lei, e che i quattro fotografavano mentre dormiva, appoggiandole i genitali in faccia.

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