Milano, nuovo flop dei pm. L'azzurro Mantovani assolto da tutte le accuse

Ribaltata la sentenza di primo grado. L'ex senatore e assessore: "È una procura malata"

Milano, nuovo flop dei pm. L'azzurro Mantovani assolto da tutte le accuse

Dice Mario Mantovani: «Questa Procura della Repubblica è una Procura malata. Ci sono personaggi con problemi esistenziali. Sono gli stessi che qualche anno fa ho visto sfilare con la Costituzione in mano, e che poi si mettono la Costituzione sotto i piedi». Mantovani, ex senatore di Forza Italia, ex assessore alla Sanità e vicepresidente della Regione Lombardia, è stato appena assolto da tutte le accuse. Incriminato, messo in carcere tra l'applauso dei grillini che lo sbeffeggiavano sotto il Pirellone con vassoi di arance da mandargli in cella; e poi tenuto a San Vittore quarantadue giorni e sei mesi ai domiciliari; e poi condannato a cinque anni di carcere, indicato a piene pagine come emblema della malasanità lombarda, il vampiro che si arricchiva sugli appalti per i dializzati.

Beh, non era vero niente. Ieri mattina la Corte d'appello di Milano assolve con formula piena Mantovani da tutte le accuse. Insieme all'ex parlamentare vengono assolti tutti i suoi coimputati, tra questi c'è un ministro in carica: Massimo Garavaglia, titolare dello Sviluppo economico, finito sotto processo per una intercettazione tanto vaga quanto innocua con Mantovani: la Corte d'appello, dice il difensore di Garavaglia, Jacopo Pensa, ha «ridicolizzato l'indagine per come è stata fatta e per il taglio che era stato dato».

L'ordinanza di custodia che spedì Mantovani in carcere all'alba del 13 ottobre di sette anni fa parlava di «spiccata capacità criminale» e inanellava una sfilza di reati: dalle pressioni sul Provveditore alle opere pubbliche per tenere in servizio un funzionario, ai lavori a sbafo commissionati a un architetto in cambio di succulenti incarichi pubblici, fino all'intervento per garantire alle «croci» della sua zona un appalto che era andato alle ambulanze di una «croce» venuta dal nulla. Strada facendo le accuse avevano perso dei pezzi: il Provveditore alle opere pubbliche in una intervista al Giornale aveva escluso di essersi mai sentito minacciato da Mantovani; poi si era scoperto che ad essere legata ad affari oscuri era la «croce» che si era vista assegnare il trasporto dei dializzati, e non quelle sponsorizzate da Mantovani.

Eppure nel luglio 2019 il tribunale aveva condannato Mantovani: alcune accuse erano cadute, una si era prescritta, ma quanto restava era bastato per infliggere all'imputato eccellente cinque anni di carcere. Secondo la legge «spazzacorrotti», se la condanna fosse divenuta definitiva Mantovani sarebbe tornato in cella e avrebbe scontato la pena fino all'ultimo giorno.

Invece ieri la seconda sezione della Corte d'appello, presieduta dal giudice Maurizio Boselli, azzera tutto. Mantovani esce dall'aula: non sorride, la rabbia prevale sul sollievo. «Un giorno racconterò tutto quello che ho dovuto subire in questi sette anni. Sono anni che nessuno mi ridarà più, nessun risarcimento per ingiusta detenzione mi ripagherà dei danni personali e pubblici che questa vicenda mi ha causato. Hanno indagato su di me per quattro anni, fuori da ogni regola, e quando sono venuti ad arrestarmi c'erano i giornalisti già fuori da casa mia.

Mi hanno raccontato che quando il pm che era riuscito a ottenere il mio arresto è andato a una riunione, i colleghi lo riempivano di pacche sulle spalle. Lei crede che adesso quel pm pagherà per quello che mi ha fatto? Ecco perché la giustizia italiana va ribaltata da cima a fondo».

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