Milano - «Divisivo». È il nuovo, garbato insulto molto trendy nella politica milanese. «Divisivo» è un avvertimento e se non capisci il messaggio, parte l'artiglieria pesante. Così «Sala divide, Pisapia punta su Balzani», titolo di un articolo su Repubblica, è l'ennesima goccia che ha scavato la roccia e sfiancato il manager che sembrava l'uomo della provvidenza, del premier Renzi e della folla di Expo, la persona giusta per Milano. Eppure eccolo qui, dipinto nel suo destino solitario. Finale? Questo è da vedere, perché la confusione è grande. «Ma tu hai in mente qualcuno?» aveva chiesto il premier al sindaco secondo accreditati retroscena. E l'avvocato prestato a Palazzo Marino ha risposto sì, la sua vicesindaco Francesca Balzani. Oggi Giuliano Pisapia ha tirato nuovamente fuori il piano B, dove B sta per Balzani. E Sala regala un elegante commento sibillino: «Non voglio essere divisivo. Noi a Milano avremmo l'opzione meno divisiva possibile che è quella del sindaco uscente, Giuliano Pisapia. Mi augurerei che ci ripensasse». Un passo indietro, ma anche una critica a Pisapia, accusato di aver gettato la città nella «divisione» dalla quale pensa di uscire con il piano Balzani.
Un problemino non da poco per Renzi, preso in mezzo tra Pisapia e Sala (di cui molti dicono che preferirebbe fare il ministro che il sindaco). Avere contro il sindaco uscente è un po' come essere Al Gore in campagna elettorale senza Bill Clinton (e tutti ricordiamo com'è finita). Lo sa bene anche il presidente del Consiglio, incasinato in questa Milano che sognava di conquistare incedendo su una passerella tricolore logata Expo e che si sta rivelando più difficile di un risotto giallo stellato, al dente e all'onda. Guai a sottovalutare il minimo passaggio.
Il tutto mentre a Napoli Antonio Bassolino, deciso a candidarsi sindaco, dichiara: «Io ho vinto due volte, sono più forte di Renzi» e a Roma Ignazio Marino va in giro per appuntamenti elettorali con l'aria di chi pensa di candidarsi. E sembra sempre più difficile che la norma «antisindaci» escogitata da Renzi (ovvero escluderli dalle primarie) basti a sedare i rivoltosi del Pd. Una situazione vicina ad esplodere.
Se pensando a ciò che accade a Milano, qualcuno si chiede: «Balzanichi?», sappia che Pisapia aveva le idee chiare da tempo sulla signora milanese che ha designato erede, oggi sua vicesindaco e assessore al Bilancio, oltre che vicina di casa e amica di famiglia. Si mormora che già nel luglio scorso, quando la vicesindaco Ada De Cesaris diede il proprio misterioso addio alla giunta, tutto fosse già deciso: era Francesca Balzani la «divisiva» delfina.
In questa Milano nel caos, la prossima settimana è in programma un incontro tra il premier e Giuliano Pisapia per decidere la data delle primarie. Il 20 dicembre come in tutta Italia o il 7 febbraio deciso in autonomia dall'orgoglio ambrosiano che mette insieme centrosinistra e Sel? Il giorno è diventata la lite sull'insalata quando marito e moglie sono alla frutta, la pròfasis, il pretesto che nasconde la causa dello scontro. Se si votasse il 20 marzo, come in tutta Italia, Balzani avrebbe più tempo per «costruire» la propria candidatura. E c'è chi dice sia proprio per questo che il sindaco non è salito sulle barricate per difendere il 7 febbraio di Milano.
«Molto abile» dicono di Balzani. Il tono suggerisce un significato più insidioso di quello del vocabolario, un po' come «divisivo». L'«abile» Francesca Balzani è partita accanto a Sergio Cofferati e alla Cgil, si è poi avvicinata ai «giovani turchi», soprattutto a Debora Serracchiani e Andrea Orlando ed è rimasta un'indipendente. Così, grazie a gradi di separazione che sono meno di sei, non è neppure così distante da Renzi. Ha lavorato nello studio di Victor Uckmar, è stata consigliere di indirizzo della Carige e dentro la Cassa di Imperia.
Milanese, già prof e assessore a Genova, ex europarlamentare, si era parlato di lei come candidata a presidente della Liguria.Mettersi contro Pisapia senza mettersi contro Sala senza lasciare praterie al centrodestra è impossibile. Come la giri e la volti, per Renzi è peggio del cubo di Rubik. A Milano e non solo.
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