Non aspetta, come tradizione comanda, che lo scrutinio arrivi almeno al 30 per cento delle sezioni reali. Beppe Sala arriva intorno alle 17 e trenta nella sede del comitato elettorale con la compagna Chiara Bazoli e un'ora dopo canta vittoria, «con tutta la prudenza del caso visto che il conteggio è ancora aperto» ma «è un risultato storico, il centrosinistra non ce l'aveva mai fatta al primo turno». Le prime proiezioni e primi exit poll del resto hanno fotografato subito una situazione chiara: Sala si conferma sindaco di Milano con il 57% dei voti, lo sfidante del centrodestra Luca Bernardo si ferma al 32%. Storico è anche il crollo dell'affluenza, non è mai stata così bassa, hanno votato 490mila milanesi su un milione di aventi diritto, neanche uno su due. Sala annusa la critica e ammette che «c'è stato astensionismo, chi fa politica non può che sperare che vada a votare più gente possibile, ma se i numeri saranno confermati avrò preso 40/50mila voti in più del 2016, chi crede in me non si è astenuto e c'è stato uno spostamento dell'elettorato moderato di centrodestra». Rivendica l'appello al voto disgiunto lanciato a pochi giorni dalle urne, «mi sembra di aver fatto molto bene». Sala non ha mai preso la tessera del Pd, in campagna ha dichiarato l'adesione ai Verdi Europei (anche se non si è formalmente iscritto per ora) e non ha voluto vicino i leader dei partiti. «Se Enrico Letta o Matteo Renzi vengono a Milano li vedo volentieri per un caffè» ma niente uscite pubbliche o foto opportunity è stata la linea che gli esponenti locali dem hanno dovuto farsi piacere. Ha giocato col fuoco ma la vittoria conquistata (quasi) in solitaria gli consente di avere mani libere nel secondo mandato e di ritagliarsi un ruolo nazionale, magari proprio come interprete di quell'area green che attira i giovani seguaci di Greta Thunberg. «Questa vittoria dimostra che c'è spazio per altri nel centrosinistra, anche per una componente verde che a Milano si è presentata con il simbolo e nella mia lista civica. Bisogna allargare». Anche ai 5 Stelle? «Mi pare che lo abbia detto anche Letta pochi minuti fa, ma non si può fare l'ultimo giorno». Non affonda il colpo su Bernardo ma sul leader della Lega. «Matteo Salvini è il responsabile principale del risultato del centrodestra, ha gestito lui le scelte e ha fatto una campagna martellante, diceva che avrebbe stravinto, che avrei dovuto prendere un Maalox. Ma credo non sia più accettabile una politica che ricorre continuamente a insulti, fake, ricerca di vittime. Io ho scelto di fare una campagna non urlata e senza comizi e il risultato è una lezione politica importante». Si atteggia da leaderino quando rimarca che «gli equilibri all'interno della Lega sono affar loro, ma è chiaro che con esponenti come Giorgetti, Zaia o Fedriga ti viene più naturale collaborare». E pensa che la Regione Lombardia possa non essere più quella roccaforte leghista inespugnabile, «sono disponibile a dare una mano, ma se pensiamo che si può fare dobbiamo scegliere il candidato con un anno d'anticipo, dovrà girare e convincere chi non sta dalla nostra parte». Prima di dedicare la vittoria alla madre scomparsa nell'agosto 2020 promette di formare la giunta «entro una settimana», di nuovo con una vice donna, e di essere «più coraggioso, specialmente sul tema della transizione ambientale».
Dopo le 20 dal quartier generale in zona Tortona anche Bernardo dichiara pubblicamente la sconfitta. Augura a Sala «di far crescere la città, è certo che per me l'avventura non finisce qua, farò il consigliere di opposizione a Palazzo Marino» e continuerà a dirigere la Casa pediatrica dell'ospedale Fatebenefratelli. A Milano «abbiamo lasciato il segno. É stata una scoppola? Non so, sfido chiunque in 15 giorni a portare un risultato migliore.
Il vincitore oggi è uno solo, l'astensionismo» ribatte. Chiamerà i leader Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi «per ringraziarli» e crede che «in nessun modo» i casi Morisi e Fidanza scoppiati nel rush finale «abbiano influito in qualche modo».
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