L'Argentina ha un nuovo presidente, il 53enne economista Javier Milei che domenica ha sconfitto il peronista/kirchnerista Sergio Massa. Quasi tre milioni di voti in più, un'enormità, il 12 per cento di differenza. «È la fine della decadenza argentina», ha promesso Milei nel suo primo discorso, definendo i risultati «un miracolo, quello di avere eletto un presidente, liberale e libertario».
Ieri Milei ha annunciato che ha intenzione di privatizzare la statale petrolifera YPF mentre la sua vittoria ha ricevuto una reazione entusiasta a Wall Street, dove le attività finanziarie «made in Argentina» sono aumentate di oltre il 30 per cento. Tra i primi a congratularsi con lui, l'ex presidente statunitense Donald Trump, che entusiasta ha scritto su Truth: «Sono molto orgoglioso di te. Cambierai il tuo paese e renderai davvero di nuovo grande l'Argentina». Ma congratulazioni a Milei sono arrivate anche dalla Russia, dove il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato di «volere un ulteriore sviluppo delle relazioni con l'Argentina». E dalla Cina di Xi Jing Ping, nonostante il neopresidente avesse detto in campagna elettorale che in caso di vittoria avrebbe rivisto i rapporti commerciali con Pechino, definendoli «vessatori».
Ma perché Milei ha vinto con un margine persino più ampio di quello di Cristina Kirchner nel 2007, quando era all'auge della sua popolarità? Il trionfo è dovuto al fatto che la maggioranza degli elettori argentini ha evidentemente capito che il governo non genera ricchezza ma che il reddito viene da chi produce. A farglielo capire sono stati decenni di peronismo, che nella sua variante kirchnerista ha sempre predicato che il capitalismo è il male assoluto al pari degli imprenditori privati e del denaro (per la classe mediasi intende, non per le tasche dei leader). È stato questo a produrre il cocktail esplosivo alla base della vittoria di Milei.
«Non voglio che il governo mi dia una mano, voglio che me le tolga entrambe dalle tasche», spiega un famoso produttor argentino di salumi. «L'Argentina è piena di risorse naturali ma i nostri politici trovano sempre un nuovo modo per mettere le mani sui soldi che queste risorse generano. Quando si pensa di averle esaurite tutte si scopre qualcosa di nuovo. Ultimamente è stato il litio», si sfoga un'altra imprenditrice, anche lei elettrice di Milei.
Tra le sfide maggiori del nuovo presidente la riduzione dell'enorme deficit di bilancio e il pagamento di circa 40 miliardi di euro di importazioni ereditate dal governo kirchnerista. Quasi tutte le fabbriche in Argentina hanno infatti fermato la produzione nelle ultime settimane a causa della carenza di dollari per pagare le importazioni.
A detta di molti analisti, Milei dovrà affrontare proteste da parte dei potenti sindacati e dei movimenti sociali finanziati dal peronismo e legati alla sua versione più «barricadera» - come la Campora ed i cosiddetti «piqueteros» che hanno già indetto manifestazioni per i prossimi giorni - mentre in Parlamento dovrà per forza di cose fare alleanze per governare con il centro. La grande incognita rimane soprattutto il tono che userà ora che è presidente Javier Milei.
Manterrà l'approccio radicale che già lo ha fatto paragonare dai media progressisti a Trump e Bolsonaro che gli danno del «pazzo», oppure il futuro inquilino della Casa Rosada cercherà un governo di larghe intese, come già anticipato nel suo primo discorso? Dal canto suo Massa ha annunciato l'abbandono della politica mentre la vicepresidente uscente Kirchner, condannata l'anno scorso per appropriazione indebita, parte oggi per l'Italia. Incontrerà Papa Francesco in Vaticano e terrà una masterclass nell'aula magna dell'Università Federico II di Napoli dal titolo: «L'insoddisfazione democratica». Soprattutto quando si perde.
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