Cosa ci fa un gorilla al centro della passerella di Armani? È la riproduzione in resina verde con sfumature blu di Uri, il primate nero a grandezza naturale creato per un set cinematografico. Anni fa fu regalato allo stilista-imprenditore e adesso fa bella mostra di sé nel salotto della sua casa milanese a simboleggiare sia la sua passione per il cinema, sia quella per la natura. «Uri è un nome biblico che significa fiammeggiante spiega Re Giorgio - ho pensato di metterlo al centro della scena perché mi sembra più che mai fondamentale ricordare quanto sia importante la salvaguardia del mondo naturale. Il mio impegno su questo fronte è grande». Si scopre così che Armani nel 2020 ha fatto una seria donazione al WWF per la salvaguardia del gorilla. Per quanto bello sia il messaggio, continua a sfuggirci il legame con le collezioni uomo e donna presentate ieri in forma digitale. Nella moda femminile stavolta Armani aggiunge ruche, volute, bolle stampate e giravolte sui tessuti dal fondo scuro. Su questi toni che vanno dal blu di mezzanotte al nero del buio che segue il crepuscolo, si accendono toni di pura poesia come il turchese delle prime uscite tra cui si ricorda un sublime blouson di linea sciolta sopra agli elegantissimi pantaloni jodhpur che in epoca vittoriana si portavano per andare a cavallo. Tra i capi da giorno più speciali ci sono diversi tailleur pantalone in seta stampata nei toni del verde e del blu: l'evoluzione sartoriale e chic del pigiama che ormai ci capita di portare tutto il giorno via del lavoro in remoto. Più bella del solito la sera con i toni iridescenti del chiaro di luna ricamati sul tulle, tramati nei tessuti più corposi ed evocati dalle innumerevoli paillette di una T-shirt fenomenale. Più semplice ma proprio perfetta la collezione maschile che prevede sempre moltissimo velluto (magistrale la camicia da sera che sostituisce la giacca) e quel magico equilibrio tra forme e colori, leggerezza e aplomb che rende l'uomo Armani tanto vincente quanto convincente. Insomma tenera è la notte di lei se ha vicino un lui così chic. Ermanno Scervino fa sfilare nel salone napoleonico di palazzo Serbelloni una collezione struggente perché l'esibizione della bellezza è allineata al pudore necessario ai drammatici momenti che stiamo vivendo. Per cui tutto è lussuoso, elegante, fatto benissimo, ma ha un certo non so che di artigianale, come se una mamma dalle mani d'oro potesse fare ai ferri i magnifici cardigan di maglia con borsetta, guanti e berretto in composè. Il cappotto in crosta naturale è decorato da semplici ricami in filo di lana e perfino le pailette all over sulla gonna a godet sono di un onesto tono di marrone. Da svenimento le T-shirt in pizzo candido sui completi in maglia neri da Eva Kant. Da Ferragamo c'è qualcosa che non quadra tra l'heritage di un brand capace di farti sognare anche con un paio di scarpe decorate in carta da cioccolatini e una collezione basata sull'arcobaleno come simbolo di positività. Paul Andrew descrive un capo alla volta usando per i colori definizioni allarmanti come «blu guanto del dentista oppure verde divisa del boy scout». Alla domanda «cosa farebbe Salvatore oggi?» sembra giusto rispondere: niente di tutto questo.
Invece ad Achille Maramotti fondatore di Max Mara piacerebbe molto l'idea della silhouette totemica creata da Grazia Malagoli per Sportmax con un occhio alla statuaria greca e uno alle muse di oggi: da Claude Cahun ad Annie Lennox passando per Lee Miller, Grace Jones e Sinead O'Connor. Perfetta anche la moda di Cividini che bolle il cashmere, lo dipinge con l'aerografo, lo stinge e poi ritinge per costruire uno stile country e al tempo stesso urbano.
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