Con quel mascellone così marcato e quel fisico tanto imponente era perfetto per bucare il piccolo schermo. Tanto in televisione quanto nei cartoni animati. Sì perché i boomer cresciuti a pane a cartoon negli anni '80 o giù di lì, lo hanno conosciuto soprattutto grazie al nipponico uomo tigre e alle trasmissioni dedicate al wrestling. Tanto basterebbe per proiettare Antonio Inoki in quella poco abitata dimensione che balla tra mito e leggenda. Ma Kanji «Antonio» Muhammad Hussain Inoki è stato molto, molto di più per meritarsi un'etichetta riservata a pochissimi. Ed è per questo che la sua scomparsa a 79 anni è diventato un evento mondiale.
Una, tre, cento, mille vite quelle di Inoki. Sempre al massimo, sempre sotto i riflettori. Quanti del resto possono raccontare di aver combattuto con Muhammed Alì, di aver trattato con Saddam Hussein, di aver promosso il dialogo tra Corea del Nord e del Sud e anche di aver sconfitto l'uomo tigre? Un metro e 90 centimetri per 110 chili di peso. Un gigante buono con un infanzia difficile e tanta voglia di emergere. Lo sport la strada migliore. Prima in Brasile, dove si trasferì con la famiglia dopo la morte del padre, poi in Giappone dove diventò nel giro di breve star di primo piano della New Japan Pro-Wrestling, che contribuì a rendere celebre. Nato Kanji, scelse il nome di Antonio in omaggio ad Antonio Rocca, pseudonimo di Antonino «Argentina» Biasetton, lottatore italiano naturalizzato argentino mito degli anni '60. Ma il Giappone stava stretto a Inoki che diventò famoso anche negli Usa grazie a trasmissioni tv dedicate al wrestling. Diventate popolari pure in Italia dove quello sport a metà tra le botte vere e lo spettacolo divenne molto apprezzato nei ruggenti '80. Lui, Andrè the Giant, Tiger Mask, Shosei Baba, Macho Man e Hulk Hogan raccontati da Dan Peterson su Italia Uno e imitati da schiere di ragazzini su ring improvvisati.
Ma lui era di più. Forte, carismatico, positivo, iconico. Tanto che nel 1976 affrontò Muhammed Alì in un incontro storico a Tokyo. Un'esibizione, che segnò la nascita delle arti marziali miste e, per la cronaca, costrinse Alì al ricovero in ospedale per i tanti calci subiti. Poi i due miti divennero amici, uniti anche alla lotta alle discriminazioni. La popolarità travolgente portò Inoki a diventare coprotagonista nel cartoon l'uomo tigre, interpretando l'amico buono e saggio dell'eroe mascherato, unico capace di sconfiggerlo. Come sul ring, vero, dove riuscì a battere tutti quanti, arrivando a portare (Pyongyang, 1995) oltre 190mila spettatori per un incontro di wrestling.
Ma non si fermò al ring e allo spettacolo. Nel 1989, quando era ancora in attività, fondò il «Partito dello Sport e della Pace» e divenne senatore. Nel 1990 si convertì all'Islam e divenne così anche Muhammad Hussain, pur restando anche buddista. Forte della sua conversione, durante la prima guerra del golfo andò in missione in Irak dove incontrò Saddam Hussein e trattò, con successo, il rilascio di alcuni prigionieri giapponesi.
Si ritirò dai combattimenti e dalla politica, poi tornò in Senato e continuò l'attività diplomatica, promuovendo la pace tra l'altro il Giappone e le due Coree, anche grazie a missioni non ufficiali.Mille vite in una sola vita. Ma da film, da cartoon. Un'icona che la morte non cancella. Ma che da mito trasforma in leggenda.
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