La "prima ministra" arrovella i linguisti

Appena una donna, per di più di destra, ha la possibilità di approcciarsi alla carica di premier, si inizia a inciampare nella linguistica

La "prima ministra" arrovella i linguisti

Appena una donna, per di più di destra, ha la possibilità di approcciarsi alla carica di premier, si inizia a inciampare nella linguistica. Dopo una campagna elettorale inaspettata e nel mezzo di una situazione geopolitica che sembra un puzzle, difficilmente ricomponibile, che tipo di domande ci si pone? Tra le prime, come chiamare Giorgia Meloni nel caso diventasse capo (o capa non vogliamo rubare il lavoro agli italianisti) del Governo. È il quesito che a Rai Radio1, a Un Giorno da Pecora, ha dovuto dirimere il presidente dell'Accademia della Crusca Claudio Marazzini. «La premier invece che il premier. E prima ministra e non primo ministro». Anche se poi ha più blandamente suggerito, non sia mai che ci sia post patriarcato linguistico: «Ma sarà lei, in caso, a decidere come preferisce esser chiamata». Non pare che la leader di Fratelli d'Italia si sia posta nessun problema del genere, l'acribia linguistica sul gender ha tutt'altre radici. Radici a sinistra, basta infatti ricordare tutti i distinguo linguistici introdotti da Laura Boldrini. Sarebbero solo piccoli tic del politicamente corretto se in questa campagna elettorale non fosse in qualche modo già passata l'idea, soprattutto avendo a che fare con un successo della destra, che si debba sottoporre al vaglio qualsiasi espressione. C'è chi ha già fatto il punto sulle tre parole più usate durante la campagna elettorale. Michele Cortelazzo, professore ordinario di Linguistica italiana dell'Università di Padova, Accademico della Crusca, ha messo l'accento su: «Scegli» (Pd), «Pronti» (Fdi) e «Credo» (Lega). Sarebbero «termini monoverbali che rappresentano un'indubbia novità comunicativa». «Indipendentemente dall'andamento del voto nelle urne - ha spiegato - il termine «Scegli» del Pd aveva sulla carta il vantaggio di coinvolgere direttamente l'elettorato. Il «Credo» della Lega è apparso un termine molto solipsistico ed egocentrico. Il «Pronti» di Fratelli d'Italia è sembrato un termine vago, peraltro coniugato al plurale perché riferito come sotto inteso al nome dello stesso partito». Questioni di lana caprina visto come poi è andato il voto con l'efficacissimo «Scegli» che ha avuto come esito di non scegliere il Pd? Sino ad un certo punto perché l'impressione è che una serie di parole molto neutre che sicuramente Giorgia Meloni userà verranno subito messe sotto la lente. Se userà «patria», termine che sta ovviamente anche nella Costituzione, verrà visto subito come un richiamo a chissà quale nazionalismo. Con «nazione», «esercito» o «confine» potremmo essere già alla certificazione di ritorno al linguaggio tetragono del Ventennio. Per tornare al titolo di un libro di Carlo Levi «Le parole sono pietre».

E come pietre possono essere usate per costruire recinti o per essere lanciate. Speriamo non succeda perché le parole potrebbero anche semplicemente essere ascoltate per quel che sono. E solo dopo decidere se ci piace quello che veicolano o no.

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