«In principio abbiamo investito 500 milioni di vecchie lire, 250 a testa, io e Silvio Berlusconi, per fondare Programma Italia, una rete di venditori. Era il 1982. Due anni dopo abbiamo rilevato una piccola compagnia assicurativa, Mediolanum, che era commissariata, con un investimento di 24 miliardi di lire. E da lì è iniziata l'avventura».
Così ricorda Ennio Doris, in questa intervista al Giornale , fatta poche ore dopo aver appreso che il controllo del gruppo Mediolanum, diviso con Berlusconi per 32 anni, non potrà più essere così: la Banca d'Italia ha imposto alla Fininvest la cessione della quota eccedente il 9,9% e la cessazione del patto di sindacato che garantiva il controllo congiunto. Nel frattempo Mediolanum è arrivata a valere 3,8 miliardi di euro: quasi 15mila volte di più di quell'investimento iniziale.
Qual è la quota di Berlusconi in Mediolanum che, eccedendo il 9,9%, dovrà essere ceduta?
«Fininvest ha poco più del 30% quindi dovrà cedere poco più del 20 per cento».
Preoccupato?
«Assolutamente no. Cambia poco per non dire nulla. Dal lato del controllo io e la mia famiglia abbiamo il 40%, siamo tranquilli. Ma mi dispiace molto e vogliamo esprimere, anche a nome dell'azienda, grande solidarietà ed affetto a Silvio Berlusconi. Che è stato determinante per il successo di Mediolanum: prima di conoscerlo io ero un venditore, non avevo mai fatto l'imprenditore. Avere avuto lui come maestro è stata una fortuna che capita a pochi. Non solo: è anche sempre stato un socio ideale, silente e rispettoso della mia gestione».
La decisione di Bankitalia era comunque scontata da tempo, giusto?
«Sì perché è un atto dovuto, previsto dalle leggi bancarie: non deriva direttamente dalla condanna avuta da Berlusconi, ma dalla trasformazione del nostro gruppo, che nasce come assicurativo, in uno bancario, avvenuta in seguito al grande sviluppo di questa attività negli anni: i requisiti di onorabilità valgono per il controllo di un gruppo bancario».
Il mercato però ha reagito male, con un calo del 3% del titolo in Borsa.
«Sì ma gli investitori lo sapevano. È una reazione a caldo: ora ci sono tre mesi di tempo per creare l'eventuale blind trust dove posteggiare la quota in vendita e poi altri 30 mesi per decidere come disfarsene: c'è tutto il tempo per fare le cose al meglio».
Quindi il mercato si interroga sulla destinazione di questo 20 per cento: lei cosa si augura, posto che con la sua holding, la Fin.prog., secondo le regole del patto parasociale siglato con la Fininvest, le spetta il diritto di prelazione?
«Al di là della prelazione, aspetterò la decisione di Fininvest e la rispetterò: possono decidere di vendere all'interno della famiglia oppure sul mercato. In questo secondo caso eserciterei la prelazione, sicuramente farei un'offerta, badando però a non fare scattare l'obbligo di Opa totalitaria, per evitare il delisting e tenere la società in Borsa». (La legge prevede di poter incrementare il controllo di fatto fino a un massimo del 5% nell'arco di 12 mesi. Oltre il 5% scatta l'obbligo di Opa, ndr ).
Qual è il consiglio che si sente di dare a Berlusconi?
«Quello che mi auguro è che, se possibile, la quota resti all'interno della famiglia, ai suoi figli. Il mio consiglio è che faccia in modo, sempre se possibile, di evitare che la sua famiglia si separi da questa quota perché Mediolanum continua ad avere grandi prospettive. E in questo modo potremo rifare un patto di sindacato come quello che oggi decade».
Luigi Berlusconi è già nel vostro consiglio d'amministrazione, sta pensando a lui?
«Luigi ci conosce bene, ma l'auspicio vale per tutti, ci sono anche altri quattro figli».
Ne ha parlato con Berlusconi, per sapere le sue intenzioni?
«Abbiamo avuto un colloquio recente. Ma non ho voluto essere curioso».
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