Il mistero del Pd abbindolato dai grillini sull’orlo del crac

Di Maio ha incastrato Zingaretti come fece con il leader leghista. Delrio minaccia: la crisi arriva all’improvviso

Il mistero del Pd abbindolato dai grillini sull’orlo del crac

P aradosso. La crisi del Movimento 5 Stelle è verticale, ineluttabile. Parlamentari che vanno verso la Lega, verso il misto, verso Italia Viva. E la radiografia diventa ancora più spietata per un soggetto politico nato contro la casta, se si pensa che le ragioni - lo teorizza pure Di Maio - alla base ) dei sommovimenti interni, delle migrazioni o, addirittura, di una possibile scissione, sono le poltrone (di governo o di partito poco importa) perse o promesse ma non ricevute; o, ancora, i contributi non versati dai parlamentari grillini al partito o a quel surrogato di partito che è la Casaleggio Associati. Per cui Gianluigi Paragone viene espulso e se ne va al gruppo misto portandosi dietro forse due senatori. E si becca anche la solidarietà polemica verso il movimento da parte di uno dei leader storici, Alessandro Di Battista, a cui Giggino Di Maio, a sentire l’inner circle molto inner del ministro degli Esteri, aveva pensato addirittura di dare il ministero della Pubblica istruzione, ipotesi poi svanita in un bagno di realpolitik. «Mi sarei sentito una merda a non difendere Paragone visto che su molti punti la pensiamo allo stesso modo», ha confidato ieri agli amici Di Battista, per cui alla macchina del consenso grillina non è rimasto altro, per rassicurare i militanti, che raccontare la storiella che la presa di posizione del Dibba fosse solo un fake. Siamo, quindi, al fake su fake. Ma il paradosso, appunto, è che un movimento in queste condizioni (con le pezze sul sedere, per usare un’espressione gergale rivisitata) riesca a condizionare la politica del governo e, di conseguenza, anche quella del Pd. Perché uno può dire ciò che vuole ma, almeno per ora, su temi sensibili - ad esempio come la legge sulla prescrizione o la revoca della concessione su Autostrade - Di Maio, in un modo o nell’altro, è riuscito a fare con Nicola Zingaretti lo stesso gioco con cui ha abbindolato per un anno Matteo Salvini: ogni volta che il segretario del Pd ha toccato questi temi con il leader dei 5 stelle si è sentito ripetere lo stesso leitmotiv con cui Giggino ha tenuto a bada il capitano del Carroccio, «io su questi punti i miei non li tengo, se andate avanti si rischia la crisi». E così, con questa minaccia sempre sulla bocca, Di Maio è riuscito a bloccare ogni mediazione sulla prescrizione e ad andare avanti su quell’azzardo giuridico, tutto da esplorare, che è la revoca della concessione ad Autostrade. Nel Pd tutti giurano che alla fine non sarà così. Ma si tratta solo di una promessa (l’ennesima) con il capogruppo Graziano Delrio che comincia ad alzare la voce («le crisi di governo avvengono quando meno te le aspetti, avvengono e basta»); e chi, invece, si consola osservando che il Pd, per storia, si è sempre fatto carico più degli alleati del momento dell’esigenza di assicurare la governabilità. La fotografia di oggi, però, a conti fatti, è quella di un Di Maio, politicamente in bancarotta, che continua a fare la voce grossa, mentre la civiltà giuridica del Paese va a ramengo e l’economia va a rotoli per leggi bislacche e mangia-risorse come il reddito di cittadinanza, introdotte dall’esecutivo gialloverde e mantenute da quello giallorosso. «Il Pd con i grillini - osserva il forzista Enrico Costa, con l’imparzialità dell’osservatore esterno - è nelle stesse condizioni in cui si è trovato Salvini un anno fa. È avvenuto il contagio. Di Maio e i suoi hanno un argomento perno su cui non deflettono, la giustizia. Non possono farlo perché altrimenti il loro network, Travaglio-Davigo, gli si rivolta contro. Per cui il Pd abbozza sulla prescrizione per avere la legge Orlando sulle intercettazioni, senza accorgersi, però, che nel testo approvato l’uso di strumenti micidiali come i trojan è stato addirittura allargato». «Condizionato dalle proprie beghe interne - gli va dietro Gianfranco Rotondi - Zingaretti rischia di concedere ai grillini più della Lega. Almeno avesse portato a casa la legge elettorale proporzionale, per ridimensionare Salvini. Per adesso neppure quello». Appunto, per il Pd il bilancio è in rosso. C’è, soprattutto, un problema di atteggiamento: per spostare il baricentro del governo, Zingaretti dovrebbe avere il coraggio di andare a guardare sulle singole leggi il bluff grillino, verificare se davvero Di Maio e soci sono disposti a correre il rischio di elezioni che li spazzerebbero via. Senza questo cambio di marcia il leader del Pd corre il pericolo di non salvare né il governo, né il Pd, né se stesso, ma, soprattutto, di non opporsi a un’involuzione del diritto che potrebbe precipitare il nostro Paese in una sorta di medioevo giudiziario. Solo che nella mente del vertice pd il pericolo non sono i grillini, ma Renzi e le sue ambizioni. «Il problema - ripeteva la sera di Capodanno il sottosegretario all’Economia, Antonio Misiani, dando voce alla solita fissazione - è Renzi». Così, le due anime di quello che una volta era un solo partito, invece di fare fronte comune per evitare le follie grilline, continuano a guardarsi in cagnesco, con la prospettiva, tutt’altro che remota, di vergognarsi in futuro (come oggi fa Salvini per il passato) delle decisioni prese all’ombra dell’attuale governo. A meno che Renzi non azzecchi le previsioni. «Io sul Pd - osserva il leader di Italia Viva - mi taccio. I 5 stelle, però, sono morti anche se non lo sanno, anche se penso che alcuni di loro lo sappiano pure. La verità è che il dentifricio è uscito dal tubetto. I prossimi mesi lo dimostreranno: ora vediamo cosa racconterà Conte, il nuovo Profeta di Repubblica, nel prossimo vertice di maggioranza; poi cominceremo a discutere fino alle elezioni in Emilia, in cui i grillini andranno sotto il 7%. Il giorno dopo uscirà il mio libro in cui dirò quello che penso su giustizia - la legge Bonafede sulla prescrizione, ad esempio, per me è un obbrobrio giuridico - ed economia, che è il contrario di quello che pensano i grillini. Poi avremo tre mesi prima della scadenza delle regionali in Toscana per decidere cosa fare di questa legislatura. Ma quello dipenderà dal Pd, dall’attuale premier, da Salvini e da tutti gli altri. Oggi dico solo che i grillini sono un falso problema, che i prossimi mesi risolveranno». Anche perché i prossimi mesi per l’ex premier porteranno delle novità per Di Maio e soci. «Intanto se per i magistrati - spiega - la Fondazione Open è un partito, allora penso che prima o poi qualcuno andrà a vedere cosa è la Casaleggio associati e il blog di Grillo.

Ed ancora: sulla messa sotto accusa di Salvini per il caso della nave Gregoretti noi probabilmente diremo di sì, dato che è difficile per me cambiare idea visto che in un caso analogo, quello della motonave Diciotti, noi decidemmo in quel senso. Il problema però è un altro: se Salvini dimostrasse con una carta la corresponsabilità, o meglio la correità, di Conte, come la metteremmo? Che succederebbe? Ecco perché ho detto: vediamo le carte!».

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