Il gas puzza. E il ricatto del Qatar, pronto a interrompere le forniture all'Italia e ai paesi europei decisi a indagare sull'opera di corruzione dell'Europarlamento ne è la dimostrazione più eloquente. Del resto la scelta di abbandonare le forniture russe per rivolgersi a fornitori africani, asiatici e mediorientali era chiaramente ad alto rischio. I sospetti su Doha risalgono al 2015 quando le prime evidenze sulla compravendita dei mondiali si accompagnano alle notizie sulla moria di lavoratori stranieri reclutati da Doha. Ma neppure gli altri paesi a cui l'Italia si è rivolta, per sostituire le forniture russe offrono garanzie nel campo della corruzione o diritti umani. L'Algeria, con cui abbiamo firmato un accordo che ci garantirà circa 9 miliardi di metri cubi di gas attraverso le tubature di Transmed, non è esattamente un paese di specchiate tradizioni democratiche. Ad Algeri e dintorni le elezioni restano una cornice di facciata sotto la quale opera un sistema di potere opaco gestito da militari e servizi segreti. L'Azerbaijan, pronto a portare dal 10 al 35 per cento il contributo al nostro fabbisogno di gas, è - per «Human Rights Watch» - un paese dove le limitazione dei diritti civili si accompagnano all'uso della tortura nei confronti di dissidenti e oppositori. Le cose non vanno meglio nella Repubblica Centrafricana dove il generale Denis Sassou Nguesso, al potere dal 1979, non è certo un paladino di democrazia e trasparenza. Questo non ha impedito agli ex-ministri Di Maio e Cingolani di volare a Brazaville per presenziare all'intesa che garantirà all'Italia, già a fine 2023, i primi quantitativi di gas naturale liquefatto (GNL) prodotti in collaborazione con l'Eni. Ma difesa dei valori democratici, lotta alla corruzione e rispetto dei diritti umani non sono di casa neppure in Angola e in Mozambico, gli altri due paesi dell'Africa Australe al centro della girandola di accordi siglati dal governo Draghi. Per non parlare delle intese con un Egitto dove resta irrisolto il caso del ricercatore Giulio Regeni, torturato e ucciso dai servizi segreti di quel paese. In un mondo dove le risorse energetiche sono sempre più limitate e dove Pechino si fa molti meno scrupoli nel garantirsi le risorse indispensabili l'Italia non aveva, però, molte scelte. Grazie all'eredità di Enrico Mattei l'Eni e il nostro paese restano però un caso unico nel complesso e spietato campo della lotta per l'autonomia e la sovranità energetica. Per Mattei l'acquisto del gas andava accompagnato da progetti di compartecipazione e sviluppo a favore dei paesi produttori. E questa resta una linea guida dell'Eni. I master post-universitari garantiti dall'Eni alle classi dirigenti dei paesi in cui opera hanno consentito la formazione di generazioni di dirigenti pronti a servirla con devozione nei momenti più difficili. Caso esemplare quello della Libia dove grazie ai suoi dirigenti locali l'Eni ha mantenuto un ruolo centrale anche dopo la caduta di Gheddafi. E questo vale anche oggi.
I contratti in Mozambico e altri paesi africani s'accompagnano a progetti di formazione nel settore della scuola e dell'educazione ambientale. Un'attenzione che non cura le cicatrici di dittatura e corruzione, ma contribuisce allo sviluppo di paesi in cui l'azienda fondata Mattei resta il faro della via italiana all'energia.
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