Il montanaro e l'emigrato per trovare un lavoro. L'ultimo post per il padre del "cucciolo" Kevin

Le storie delle vittime. Il 22enne era il più giovane del gruppo: "Papà, ti amo"

Il montanaro e l'emigrato per trovare un lavoro. L'ultimo post per il padre del "cucciolo" Kevin
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Il ragazzino, l'emigrato, il palestrato, il montanaro, il camionista. Cinque persone qualsiasi, ma le persone non sono mai qualsiasi. Cinque lavoratori che sono stati fatti a pezzi dal destino e da un treno. Non dovevano essere lì, o forse era il treno che è sopraggiunto con la fretta con cui arrivano le cattive notizie a non dover essere lì, su quei binari che i cinque operai, più altri due che si sono salvati per il capriccio del caso, dovevano sostituire. Storie comuni, le loro, e quindi avvincenti. Che non avrebbero meritato di finire così, nel buio di ferro e pietra di un mercoledì pronto a diventare giovedì.

Il ragazzino era Kevin Laganà, di anni ventidue, un baffo appena disegnato per sembrare più uomo, forse. Lavorava per la Sigifer da quando era maggiorenne, viveva a Vercelli con il fratello Antonino e con il papà Massimo, a cui voleva un bene da bimbo: «Papà ti amo», aveva scritto poche ore prima di morire, commentando una foto postata dall'uomo. Ieri sotto quella casa umile si è radunata una folla di amici che lo ricordano come si ricorda un angelo. «Era una persona solare, buona, indescrivibile - dice una vicina -. Era sempre pronto a farsi in quattro per gli altri». E certo si dice sempre così quanto qualcuno non c'è più ma stavolta sembra sia proprio così, maledetto treno.

L'emigrato era Saverio Giuseppe Lombardo, il più vecchio di tutti, ma a cinquantadue anni non si è mica vecchi, c'è tanto da fare ancora, accidenti. Si era trasferito da Marsala, contrada Matarocco, nel 2001 perché laggiù il lavoro mica c'era. E allora Vercelli, allora quella fabbrica che si occupa di armamento ferroviario. Lascia la moglie e un figlio a cui chissà come lo avranno detto, di papà.

Il palestrato era Michael Zanera, di anni trentaquattro, che aveva compiuto lo scorso 7 agosto nella sua Vercelli. Uno spirito inquieto, diceva di non sentire la sua età, come fossero chissà quanti, sentiva di voler migliorare la sua vita, chissà cosa stava passando ma non era di certo un bel periodo il suo a giudicare dai suoi post sui social. Si sfogava in palestra, curava il suo corpo come un tempio. «Un ragazzo in gamba, volenteroso, anche se sapeva che certe cose non andavano bene faceva finta di nulla, si sforzava e andava avanti sul lavoro», lo ricorda zio Marco Faraci.

Il montanaro era Giuseppe Sorvillo di anni quarantatré di Brandizze, viveva a poche centinaia di metri dal punto dove pianteranno la croce del suo ricordo. Montanaro, poi. Era originario di Capua, ma amava le passeggiate in alta quota con la moglie Daniela e i due figli Zoe e Nathan, quell'aria frizzante. Sognava di girare il mondo. Sognava.

Il camionista era Giuseppe Aversa, di anni quarantanove, nato e cresciuto a Chivasso, residente a Bord d'Ale, anche se il padre artigiano edile era

di origine calabrese. Aveva guidato per anni i bestioni sulle autostrade, prima di decidere che voleva una villa più tranquilla, meno pericolosa, per stare vicino alla mamma Lidia e alla compagna Nicolinka. E ora? E ora?

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