I «Sentinelli di Milano» incassano una cocente delusione dal sindaco Beppe Sala. L'organizzazione laica e antifascista che da giorni, sull'onda delle manifestazioni antirazziste in ricordo di George Floyd, chiedeva di cambiare il nome ai giardini intitolati a Indro Montanelli e rimuovere la statua del direttore e fondatore del Giornale perché durante la guerra in Etiopia aveva convissuto con una minorenne abissina, ieri ha dovuto alzare bandiera bianca. «Chiudiamo il cerchio, non in segno di resa, perché continueremo a chiedere alla politica cittadina di cambiare il nome al parco, ma vogliamo ridimensionare il clamore che questa proposta ha scatenato e che ha finito per togliere spazio alle migliaia di ragazze e ragazzi che in questi giorni hanno riempito piazze bellissime», scrive il portavoce su Facebook. Come no. Nessun atto di eleganza. Il sindaco ha dichiarato senza mezzi termini in un'intervista al Giorno che Montanelli non si tocca. «Non sono favorevole alla rimozione della statua - afferma Sala -, penso che in tutte le nostre vite ci siano errori e quello di Montanelli lo è stato, ma Milano riconosce le sue qualità, che sono indiscutibili». Ammette di non aver condiviso sempre la linea, «non mi piacevano tutte le sue posizioni, a volte eccedeva in protagonismo, ma aveva una penna straordinaria».
«Tutto ciò che sono lo devo a Fucecchio, tutto quello che sono diventato lo devo a Milano», amava dire Montanelli. A chi ha messo in discussione l'onore del giornalista a cui Milano nel 1997, quand'era ancora in vita, consegnò l'Ambrogino d'Oro, la massima onorificenza della città, è rivolta la battuta sarcastica del giornalista e scrittore Claudio Sabelli Fioretti. Ieri ha scritto su Twitter: «Diciamolo, anche Giuseppe Garibaldi era un gran figlio di p. Ha dormito nelle case di tutti i paesi in cui passava e non pagava mai. Decapiterei tutte le statue a lui dedicate. A meno che qualche erede non saldi i suoi debiti».
E verso sera, quando Sala a onor del vero aveva chiuso da ore la diatriba, si è schierato in difesa della statua anche Luigi Di Maio. «Nessuno può arrogarsi il diritto di rimuoverla e di cancellare la memoria dell'agguato che subì il 2 giugno 1977 lungo la cancellata di quei giardini - scrive il ministro 5 Stelle degli Esteri su Facebook -. Un agguato contro un uomo e contro la libertà che quell'uomo stesso, con grande dignità, ha sempre rappresentato. Mi auguro che il Comune quella libertà voglia difenderla. Prendiamo lezione dal passato e guardiamo avanti, con fiducia e determinazione. L'Italia è anche questo e dobbiamo esserne orgogliosi».
Di Maio ricorda la gambizzazione, «Montanelli non cadde subito - scrive -, il suo pensiero anche quegli istanti fu quello di restare in piedi, aggrappandosi a una inferriata che aveva accanto. In piedi, con la schiena dritta, com'è sempre stato. Era stato colpito il più grande giornalista italiano di allora, oggetto in quel periodo di una campagna d'odio senza precedenti. Le Brigate Rosse rivendicarono l'attacco». In passato «è vero, lui stesso sostenne che i monumenti sono fatti per essere abbattuti. Idee e valori di un giornalista attento e scrupoloso, ma soprattutto di un uomo libero. Vantava un'onestà intellettuale che gli permetteva di soprassedere alle logiche dei personalismi e della vanità. Lavorava per raccontare i fatti.
Scriveva per la verità. Non aveva bisogno di elogi né di onorificenze. A distanza di oltre 40 anni, però, questo non significa che qualcuno può rimuovere quella statua».Era una richiesta folle. E come tale già archiviata.
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