Il Montesquieu tradito da questa sinistra

Separazione dei poteri

Il Montesquieu tradito da questa sinistra
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Premessa: l'idea di affidare ad una Commissione parlamentare l'indagine sui ritardi e gli errori commessi nella gestione del Covid e mettere sotto la lente di ingrandimento l'operato del premier e del ministro della Sanità di allora, cioè Giuseppe Conte e Roberto Speranza, per valutare più sul piano politico che giudiziario l'intera vicenda, è stata una scelta giusta: in quei frangenti drammatici furono prese delle decisioni che rientravano nella sfera di governo che proprio per questo debbono restare fuori dal vaglio della magistratura. Solo che questa concezione che distingue correttamente il potere esecutivo da quello giudiziario cozza con lo spettacolo di questi giorni che vede un ex-ministro dell'Interno, Matteo Salvini, rischiare sei anni di carcere per un'altra decisione squisitamente politica, quella di tenere lontana da un porto italiano una nave che trasportava migranti illegali assimilandola al reato di sequestro di persona. Un processo autorizzato da un voto del Parlamento italiano con cui sinistra, grillini e centristi che guardano a sinistra (Matteo Renzi) hanno spedito un ex-ministro dell'Interno sul banco degli imputati di un tribunale.

Paragonando i due casi c'è una differenza di fondo tra una sinistra con l'appendice grillina e, almeno per ora, il centro-destra: i primi soffrono di una sorta di riflesso di Pavlov perché trasformano ogni caso politico in un crimine, richiedono sempre e comunque la supplenza della magistratura; il centro-destra non ha questo riflesso condizionato, con tutti i limiti delle sue aree estreme, alla fine il giudizio politico è prevalente e viene tenuto separato da quello giudiziario. La polemica anche violenta, quella che ha portato all'istituzione di una commissione parlamentare, non ha mai chiamato in causa la magistratura. «Mai presentato un esposto in procura e che mi risulti nessun legista lo ha fatto», giura Claudio Borghi che è stato un paladino di quella battaglia. La parte giudiziaria, che pure c'è stata, è nata dalle iniziative di singoli cittadini o dei parenti delle vittime.

Non è una diversità di poco conto perché tradisce una diversa visione della politica, una diversa concezione della divisione dei poteri. Si parli di Salvini o magari di Sangiuliano (il verde Bonelli ha dedicato un esposto al primo sul ponte di Messina e uno al secondo su «affair» sentimentali), Toti o di altri, la sinistra finisce sempre lì. Utilizza la magistratura, le denunce, le carte bollate, i tribunali per far fuori o solamente azzoppare l'avversario politico. Una concezione agli antipodi del pensiero liberale e garantista. A pensarci bene - mi si perdoni l'accostamento - anche nei regimi totalitari l'arma per far fuori il dissenso e l'avversario politico sono sempre i tribunali. Putin ha spedito Navalny in un gulag grazie ad un giudice che lo ha giudicato corrotto. Insomma, c'è una sorta di denuncite che contraddistingue la sinistra, che magari nasce dalla consapevolezza di trovare sempre nelle procure porte aperte per le proprie istanze, cosa che il centro-destra non ha.

È un meccanismo perverso però perché confonde i piani, valica i confini, non mette a paragone due modi diversi di governare (cosa che dovrebbe essere il fine ultimo di un'opposizione), ma trasforma l'avversario in un imputato che ha come controparte un tribunale.

Immaginate, ad esempio, cosa succederebbe se un esponente politico del centro-destra presentasse un esposto sui supposti ritardi nell'utilizzo dei fondi per mettere a riparo l'Emilia dalle alluvioni? Con il riflesso pavloviano, appunto della «denuncite», ogni caso dimalgoverno rischia di diventare un caso giudiziario. Ma, soprattutto, un «campo largo» affetto da questa perversione comportamentale rischia di non avere «appeal» per quell'area moderata-liberale che si ispira a Montesquieu che è più vasta di quanto si possa pensare.

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