Affabile e affabulatore, meridionalissimo di un meridionalismo cosmopolita che passava da Parigi per planare nel sud del mondo, Domenico De Masi passerà alla storia come l'ispiratore di uno dei provvedimenti più discussi e sciagurati della storia della politica italiana: il reddito di cittadinanza. Il sociologo - che è morto ieri a 85 anni dopo una breve e fulminante malattia - nasce geograficamente in un piccolo paesino di una manciata di anime in provincia di Campobasso, ma politicamente fiorisce ai bordi del Partito Comunista Italiano.
Una vita accademica che parte con una laurea in giurisprudenza, un dottorato in sociologia a Parigi e culmina con la presidenza della Facoltà di Sociologia e Scienza della comunicazione all'università di Roma. In mezzo a una vita di studio, molto impegno civile e politico, decine di pubblicazioni e idee e provocazioni intellettuali che - nel bene e nel male - hanno segnato gli ultimi anni di storia del nostro Paese. E non solo.
Perché le opere del sociologo molisano - con tutto il loro portato ideologico di ispirazione post marxista - attraversano l'oceano e sbarcano in Brasile, dove De Masi diventa una sorta di star per la sinistra locale e in particolar modo del Partito dei lavoratori, stringendo un rapporto di amicizia personale col presidente Lula, che andrà anche a trovare in carcere durante la sua detenzione.
Amico di Lula in Brasile, ma anche di Beppe Grillo e Giuseppe Conte in Italia, sempre seguendo una linea invisibile, ma che purtroppo abbiamo potuto toccare con mano, che unisce quel che resta del comunismo e del socialismo con il pauperismo e il mito della decrescita felice, tutto all'insegna di una critica tanto spietata quanto capziosa al sistema capitalistico. De Masi teorizza l'ozio creativo, profetizza un futuro senza occupazione e spalanca le porte alle orde grilline che brandiscono come una scimitarra il «suo» reddito di cittadinanza. Idea pericolante, trasformata in un obbrobrio statalista e assistenzialista dai pentastellati che non vedevano l'ora di affacciarsi dai balconi per decretare la fine della povertà. La storia recente ci racconta che poi, gli italiani e il buonsenso, hanno decretato la fine del reddito, il quale - ahinoi - non ha sconfitto la miseria ma prosciugato le casse dello Stato.
Ma anche durante la liaison con il M5S - che s'incrina quando in una intervista al Fatto Quotidiano spiffera le pressioni di Draghi su Grillo per far fuori Conte - De Masi è un grillino atipico, la sua bonomia stride con certi strepiti antipolitici. Colto, educato, ironico e pacato svolazza da un talk show all'altro senza mai alzare la voce, ma difendendo sempre con tenacia le sue posizioni, anche quelle assolutamente indifendibili. Quando si stempera la passione pentastellata torna nella sinistra dalla quale, in realtà, non si era mai allontanato e alle primarie del Pd sceglie Elly Schlein.
Il cordoglio della politica è trasversale: da Giorgio Mulè alla leader dei dem, passando per Sgarbi, Casini,
Renzi, l'amico Lula e i grillini al gran completo dal fondatore in giù. Tutti ricordano - nella diversità di idee - il suo rispetto e la sua pacatezza. Tutto quello che è mancato ai suoi cattivi discepoli a Cinque Stelle.
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