Soldi, spioni e 'ndrangheta. Belle donne, strane morti e un filo nero che da Reggio Calabria porta a Dubai e ritorno. Il cadavere ingombrante di Amedeo Matacena jr verrà diseppellito dal cimitero di Formia, dov'era ospite della cappella della famiglia dell'ex moglie Alessandra Canale, annunciatrice Rai. Sul tavolo operatorio di Aniello Maiese e Maria Chiara David, i periti della Sapienza scelti dai magistrati calabresi, ci sono anche i suoi inconfessabili segreti, che tornano a spaventare chi (forse) ha cercato di avvelenarlo. Se fosse tornato in Italia avrebbe vuotato il sacco, aveva detto una volta. Qualcuno si è spaventato. E sono in tanti, come in un giallone alla Agatha Christie, quelli che avevano più di un motivo per tappare la bocca all'ex parlamentare di Forza Italia condannato per 'ndrangheta per alcune amicizie borderline che si sarebbero valse lo scranno in Parlamento, i clan di 'ndrangheta che gli hanno portato i voti nel 2001 nel collegio di Villa San Giovanni contro un altro pezzo grosso della politica reggina, Marco Minniti. Preoccupata poteva essere anche la borghesia reggina plasticamente mafiosa, rappresentata dal suo amico Paolo Romeo, che lo aveva sostenuto politicamente, e chissà quanti altri. Di questo almeno sembrerebbero convinti Stefano Musolino e Sara Parezzan della Procura reggina, a caccia di chi due anni esatti fa ha beneficiato della morte o potrebbe averla commissionata.
Con i soldi delle navi traghetto che solcano ogni giorno lo Stretto di Messina, in attesa del Ponte, ci aveva costruito un impero che non era riuscito a godersi fino in fondo dopo la condanna residua da scontare per concorso esterno, latitante com'era da nove anni per una sentenza definitiva della Cassazione a tre anni. Poca roba, una decina di mesi dopo la sua morte si sarebbe estinta. Ma di andare in carcere non aveva alcuna voglia, la sua sofferenza cardiaca forse gliel'avrebbe risparmiata, chissà. Per la Procura antimafia reggina con l'indagine Breakfast la sua «procurata inosservanza della pena» era merito anche dell'intercessione dell'ex ministro dell'Interno Claudio Scajola e di una fantomatica Spectre politico-affaristico-mafiosa con agganci a Roma grazie all'ex presidente del Libano Amin Gemayel, che si era offerta anche di proteggere il suo tesoretto attraverso spregiudicate alchimie finanziarie, compresa una «fusione inversa» tra società controllate e controllante. Una tesi che in dieci anni si è lentamente sgretolata nonostante uno spiegamento di forze e di investigatori di peso come il colonnello della Dia Omar Pace (morto suicidatosi prima di deporre sull'archivio segreto trovato a casa Matacena) compreso quel Pasquale Striano che oggi è alla sbarra perché avrebbe collezionato dossier a carico di politici, vip e imprenditori da girare a giornalisti compiacenti. Coincidenze, certo.
Se n'era andato per un infarto a 59 anni e un giorno a Dubai Amedeo jr: il nome in ossequio al padre, armatore campano arricchitosi sfruttando le navi lasciate dagli americani dopo lo sbarco in Italia, lui cocco di mamma Raffaela De Carolis (ex Miss Italia 1962, la prima con i capelli corti) che per stargli dietro durante la latitanza si era trasferita a migliaia di miglia dal Parco Fiamma dove abitava a Reggio Calabria assieme ai nipotini Athos e Amedeo jr jr, figli di due mamme rimasti orfani di un padre e di una verità rassicurante e prima ancora di una nonna di 80 anni, morta a Dubai il 18 giugno 2022. Sono loro ad aver preteso una regolare sepoltura per entrambi, riuscendo così a salvare l'inchiesta. Abbottonatissimi sul tema i legali delle due famiglie coinvolte, Bonaventura Candido e Corrado Politi.
Un paio d'anni prima di morire Matacena aveva conosciuto lei, Mapi Tropepi da Lamezia Terme, sedicente contessa col pallino delle festicciole nell'emirato arabo, un passato da modella e un business da chirurgo estetico, a cui si era unito con rito islamico. Un'altra botta di vita per l'armatore che all'inizio della latitanza condivideva la stanza con tre sconosciuti e che a un certo punto sembrava aver azzeccato un paio di affari. Con Mapi avrebbe voluto fare un altro figlio (si favoleggiava di una gravidanza gemellare, invece...). Sarebbe stata l'ultima gioia dopo due matrimoni rovinosamente falliti alle spalle con due donne altrettanto belle e impossibili, la Canale e Chiara Rizzo (infangata dagli schizzi del caso Scajola).
È su Mapi, manager della chirugia plastica che si muove tra le sue cliniche a Roma e a Dubai, che punterebbero i magistrati. Obiettivo i beni del marito e della madre - restituiti nel 2021 dalla magistratura dopo essere stati congelati - che sarebbero stati sottratti (o presi in custodia) anche da Elio Matacena, 58enne fratello di Amedeo, accusato di essersi impossessato di qualche quadro dalla casa di famiglia dopo la morte della madre, forse temendo di perderli. Nell'indagine sarebbe coinvolto anche il figlio di primo letto della vedova Matacena, Giovanni Rispoli, 23enne di Castellammare di Stabia con qualche problema psicofisico, accusato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e forse usato come prestanome, fino allo storico collaboratore della famiglia Martino Politi, accusato di falsità in testamento olografo, indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti, anch'egli imputato (e assolto) dalle indagini di Breakfast.
Certo, nelle settimane successive alla morte del marito Mapi si era opposta inutilmente al rimpatrio della salma («Voleva essere cremato»), da qui il litigio con quel pezzo di famiglia Matacena che la osteggiava e i sospetti dei magistrati anche sulla morte della mamma, presto dissepolta anche lei dal cimitero di Condera a Reggio «per
accertamenti tossicologici». Ma non ci sono riscontri. Sulla pagina Instagram della donna, difesa da Attilio Parrelli, c'è la loro ultima foto: La morte non può fermare il vero amore. Di certo non ferma neanche la Procura.
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