La voce della sua morte girava da giorni. Con tutta probabilità, dunque, Ayman Al Zawahiri, l'ex medico egiziano succeduto a Osama Bin Laden come emiro di Al Qaida, aveva già tirato le cuoia ai primi di novembre. La prima parziale conferma è arrivata, però, soltanto ieri quando la testata pakistana Arab News ha diffuso le conferme ottenute da fonti vicine al gruppo terrorista e da esponenti della sicurezza di Kabul e Islamabad. A differenza del suo predecessore, e di tanti suoi comandanti, il 69enne emiro è riuscito, però, a morire nel suo letto. A penetrare quell'ultima sua tana nascosta tra le montagne della provincia afghana di Ghazni non è stato né il missile di un drone, né un sicario con la divisa delle forze speciali americane. A farlo fuori ci ha pensato un attacco di asma, reso forse fatale da una pandemia di Covid che non conosce confini e non risparmia neppure i capi terroristi. Il tutto aggravato dall'insufficienza renale che da un decennio e passa costringeva il leader di Al Qaida a continue dialisi.
Ora comunque la domanda più importante non è come sia morto, ma se, e come, il suo successore riuscirà a far sopravvivere l'organizzazione. Trovare un candidato all'altezza non sarà facile. L' erede naturale di Al Zawahiri era già stato eliminato ai primi di agosto. In quei giorni un commando del Mossad, attivato su richiesta di Washington, fece fuori Abu Muhammad Al Masri il numero due dell'organizzazione nascosto da anni in quel di Teheran. E prima di lui era stato tolto di mezzo l'erede putativo Hamza Bin Laden, figlio del fondatore di Al Qaida. In virtù di queste e altre eliminazioni eccellenti l'unico candidato rimasto è Said al Adel, un quasi 60enne ex-colonnello egiziano transitato dalle caserme al terrorismo più o meno negli stessi anni di Al Zawahiri e messo alla testa poi del Consiglio della Shura di Al Qaida. La nomina rappresenterebbe una continuità con la linea di comando «egiziana» del dopo Bin Laden. Ma proprio quella «vecchia guardia» egiziana figlia della Fratellanza Musulmana e di quella Jihad Islamica responsabile dell'uccisione di Anwar Sadat rappresenta oggi il problema di Al Qaida. Selettiva, schematica e priva ormai di figura carismatiche come Bin Laden, Al Qaida subisce non solo le spietate offensive di un antiterrorismo americano capace d'infiltrarla e decimarne i vertici, ma anche la concorrenza dello Stato Islamico. L'utilizzo spregiudicato della violenza, la presenza sui social e una propaganda strutturata con ritmi e cadenze mutuate dalle pubblicità commerciali e serie televisive continuano a garantire a quel che resta dell'Isis le preferenze dei giovani fondamentalisti. E a rendere ancor più difficile la competizione con lo Stato Islamico contribuisce un'organizzazione solo apparentemente verticistica. Strutturata in cellule locali che ne utilizzano il marchio con modalità simili al franchising, Al Qaida non è più riuscita, dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, ad esercitare un effettivo controllo sulle attività dei vari leader di Al Shebab in Somalia o dei gruppi con il suo nome nella Penisola Arabica, in Siria (Hayat Tahrir Al Sham) o nel Sahel (Aqim).
Dunque nonostante un forza teorica di 30mila militanti sparsi tra Afghanistan, Corno d'Africa, Yemen e Africa settentrionale, il successore di Al Zawahiri rischia di aver grandi difficoltà a guidare i propri effettivi. Anche perchè per riuscirci bisogna coordinare le cellule, diffondere direttive e progettare nuovi attacchi. Ma farlo significa rischiare di venir inceneriti dal missile di un drone.
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