Potremmo dire che il Veneto ce l'ha fatta. Che quella che era stata ribattezzata come «legge antimoschee» del 12 aprile 2016, esattamente un anno fa, ha passato il vaglio della Corte costituzionale. Una legge, infatti, impugnata dal governo. Tutto il testo è passato venerdì all'esame della Consulta. Tutto se non fosse per quelle tre righe. Forse le più importanti che avevano previsto che nelle moschee in Veneto si dovesse parlare l'italiano. «La Regione eccede da un ragionevole esercizio di tali competenze sottolinea la sentenza n 67 - se, nell'intervenire per la tutela di interessi urbanistici, introduce un obbligo, quale quello dell'impiego della lingua italiana, del tutto eccentrico rispetto a tali interessi». «Un'indiscutibile vittoria ha esultato il governatore del Veneto Luca Zaia solo tre righe dell'intera nostra legge sono state bocciate con delle obiezioni di carattere sistematico, per il riferimento all'uso della lingua italiana nelle moschee».
Ma, ironizza Zaia: «Il ministro dell'Interno, Minniti, ha da poco sottoscritto un accordo con la comunità islamica moderata italiana che prevede proprio l'uso della nostra lingua nelle moschee. Domando: anche l'accordo del governo è da ritenersi incostituzionale?». Anche la Chiesa interviene sul punto. «Possiamo noi fare la messa in latino? ha detto a Il Gazzettino don Dino Pistolato, vicario episcopale per i servizi generali del Patriarcato di Venezia . Certo che sì, ma la lingua abituale è l'italiano. La sentenza della Consulta è corretta dal punto di vista giuridico, ma dal lato delle opportunità sarebbe meglio che anche nelle moschee si usasse l'italiano». Le norme urbanistiche, invece, per regolamentare l'edilizia dei luoghi di culto, anche di quelli gestiti da associazioni sono rimaste invariate. Quindi: chiese, canoniche, patronati, sale di preghiera e scuole di religione saranno possibili solo in determinate aree e dove ci siano collegamenti e adeguati parcheggi.
Le strutture esistenti sono salve: chiese, canoniche e patronati. Ma le sale di preghiera gestite da associazioni se non rispettano le normative e non si trovano in aree specifiche, dovranno chiudere. Come la «moschea» di via Fogazzaro a Mestre. La Prefettura mercoledì scorso, con il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza, ha accertato le violazioni edilizie e quelle di destinazione d'uso. Ha chiesto al Comune di Venezia che si attivi per trovare un luogo alternativo e in tutta risposta i bengalesi hanno minacciato di trovarsi a pregare nei parchi o in piazza Ferretto, centro signorile di Mestre.
Questo fino a venerdì, giorno in cui è arrivata la diffida di mettersi in regola entro tre giorni, pena la chiusura. I bengalesi sono arrivati a minacciare una protesta più pesante: «Dateci la moschea o bloccheremo la città». Siamo ottomila, fanno sapere, 500 votano e siamo pronti a scioperare da venerdì prossimo.
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