La mossa del cavallo di Renzi: niente urne e cambiare tutto

Le trame del leader Iv che gioca sul titolo del suo libro

La mossa del cavallo di Renzi: niente urne  e cambiare tutto

Il termometro della politica dice che se ti sottometti alla fatica di scrivere un libro, farlo pubblicare da una prestigiosa casa editrice (Marsilio) e presentarlo in una delle più raffinate cornici della Città Eterna (la Galleria Borghese) al principale scopo di lanciare un messaggio politico «forte», allora non sei in piena salute. Nonostante la sua invidiabile abbronzatura Matteo Renzi accusa il colpo di sondaggi che lo danno sotto la soglia di sbarramento del Germanicum e approfitta della presentazione del suo ultimo libro (La mossa del cavallo) per lanciare messaggi inequivocabili. «La legislatura (e con essa questo governo) durerà fino a scadenza naturale - spiega l'ex rottamatore -. Non ci sono altre maggioranze possibili».

Andare al voto (dopo la cessazione dell'emergenza Covid-19) non è pensabile. Soprattutto con la riforma del proporzionale caldeggiata dal Pd. «Serve un maggioritario serio - spiega il leader di Italia viva -, che renda semplice e chiaro il verdetto popolare. E serve inoltre l'elezione diretta del premier». Nella foga del discorso gli sfugge anche la definizione di «sindaco d'Italia». Insomma ci manca solo il ponte sullo stretto di Messina e poi sembra di sentire il programma elettorale che Forza Italia e in parte anche il resto del centrodestra vanno promuovendo almeno da un paio di lustri. E invece anche il ponte sullo Stretto ormai è cosa sua. «Ci costa di più non farlo che farlo - dice -. D'altronde il ponte Morandi ci insegna che le grandi opere possono essere fatte anche in poco tempo».

Il nuovo Renzi ha bisogno di tempo e non si limita a proporre temi alti come la riforma elettorale. Vuole riformare la giustizia e la prescrizione («il garantismo sta alla democrazia come il giustizialismo alla dittatura»), attacca frontalmente Piercamillo Davigo («le sue sono bestialità giuridiche») e recupera Craxi quando nel '92 parlava di pericolosa supplenza dei magistrati nel vuoto lasciato dalla politica.

Dal suo cilindro tira fuori pure idee per il mondo del lavoro («le aziende dovrebbero ripartire gli utili con i dipendenti») e per una nuova fiscalità («potremmo fare di Sicilia e Sardegna regioni con fiscalità di vantaggio come in Lussemburgo, Irlanda e Olanda»). Poi parte con la crociata per il voluntary disclosure: «Secondo stime approssimative - spiega Renzi - in Italia ci sono circa 100/150 miliardi di euro in contanti non dichiarati. Facciamoli entrare in circolo. Basta una riforma semplice ovvero l'abolizione del contante».

Nel libro, fresco di stampa, parla di riforme e davanti ai cronisti sottolinea che questo è il momento migliore per un cambio di passo. «Meglio non votare subito - spiega - e approfittiamo di questo tempo per riforme adeguate. Penso al sistema elettorale ma soprattutto penso alla legittimità popolare che deve avere un premier».

«Soprattutto in emergenze come quella che stiamo vivendo - argomenta l'ex rottamatore -, l'uso di tutti quei dpcm che limitano le nostre libertà avrebbe un peso diverso se a firmarli fosse qualcuno legittimato dal voto popolare».

L'importante è uscire dal giogo di quella che chiama «istantecrazia».

«Basta con i sondaggi! - conclude - C'è bisogno di rimettere mano alle regole del gioco per una leadership del Paese consolidata sulla base del voto, o la legittimazione rischia di passare per la democrazia sondaggistica e vince chi è più popolare». Cioè non lui, almeno adesso.

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