Le mosse di Macron tra due fuochi. L'asso Attal e la "spina" Darmanin

Dimissioni respinte, il premier ora è più forte. La concorrenza del ministro gollista che vuole ancorare la maggioranza a destra

Le mosse di Macron tra due fuochi. L'asso Attal e la "spina" Darmanin
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Caccia a una maggioranza, seppur relativa e ancor più risicata di quanto non fosse nel 2022. Tra accordi e disaccordi, nel campo presidenziale a fare la prima mossa è stato il premier uscente Gabriel Attal. Ha presentato le dimissioni al presidente ieri mattina. Ed è però uscito dall'Eliseo ancora a capo del governo: «Per il momento, e per assicurare stabilità al Paese», dice Macron.

In carica, dunque. Si può dire per gli affari correnti. Ma con un potere negoziale in più dato dal ruolo istituzionale e dal quasi plebiscito con cui ha vinto il suo seggio. Le urne certificano che è lui l'uomo forte della pur ammaccata Macronie. Lui tratta per un potenziale allargamento del centro, con modalità diverse da quelle viste finora. Un ruolo oggi più che mai politico che Attal ha cercato in una campagna lampo e che, per la prima volta, non sembra farina del sacco di «Jupiter», ma sua espressa volontà di crescere politicamente. Da creatura del demiurgo Macron a leader in ascesa dopo un breve ma fulmineo cursus honorum. Ai francesi nei mercati diceva «votate per me, si sceglie il premier non il presidente». Ora, fase due. Fare proseliti fra i deputati. Cercare una maggioranza. E «riprendere in mano la fiaccola degli ideali.

La tenuta della coalizione Ensemble conta. Oggi Attal parteciperà alla riunione del gruppo Rénaissance all'Assemblée, i macroniani veri e propri. Obiettivo: serrare i ranghi ed evitare che qualcuno degli eletti ceda alle sirene di una sinistra numericamente più rilevante, apparentemente avvantaggiata nel reclamare l'opportunità di formare un governo. Le manovre proseguono stasera, quando riceverà a Matignon i deputati dell'intero campo presidenziale diventato ormai il suo. C'è però concorrenza interna, nel «centro». Quella del ministro dell'Interno Gérald Darmanin, pure lui confermato deputato battendo un lepenista che ieri commentava: «Non ha vinto nessuno ma il Paese è a destra». Ieri è stato ricevuto dopo Attal all'Eliseo. Poliziotto buono, digeribile dalla sinistra, contro agente cattivo; così è visto Darmanin da molti, proveniente dalla destra neogollista e convertito al macronismo per un ministero. Attal vanta invece una militanza socialista che potrebbe aprirgli uno spiraglio a sinistra (e attirare pure qualche eletto neogollista dai Républicains). Darmanin insiste. Controcanto. Per lui «non ha vinto nessuno». Come Penelope disfa quanto sembra mettere in campo il premier. Alla vigilia del voto erano già emersi i distinguo fra i due: lui non voleva chieder voti agli «Insoumis», Attal sì. Ieri Darmanin ha pure riunito una trentina di deputati fedelissimi aprendo concretamente le ostilità e proponendo piuttosto di ancorare la maggioranza a destra. Il risultato cristallizza però quella che fino a due giorni fa sembrava essere una mission impossible. Far sopravvivere la Macronie. È Attal ad avercela fatta. L'esito gli ha dato l'attestato di capo ormai saldamente alla guida (anche mediatica). Ha fatto di tutto per affrancare la compagine dal peso del capo dello Stato.

In questo sofisticato gioco di specchi, Macron sceglie di defilarsi per veder sopravvivere la sua creatura come centro di gravità e di governo. Darmanin conta -17 alle Olimpiadi e ha questo a cui pensare. Gliel'ha ricordato ieri Macron, che attende «la strutturazione dell'Assemblea» per prendere decisioni. E si rallegra: «Ensemble» ha tenuto.

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