Mostra immagine di Maometto: prof licenziata

La docente di arte aveva avvisato gli studenti: "Se vi urta uscite". Cacciata dopo le proteste

Mostra immagine di Maometto: prof licenziata

L'autodistruzione dei nostri valori è alla base di quello che è stato efficacemente definito come «suicidio occidentale». Valori come la libertà di espressione e perfino le stesse basi tradizionali della nostra società vengono messi nel mirino di attivisti fanatici che ne pretendono qualcosa di più della rimessa in discussione: al cosiddetto «politicamente corretto» non basta l'esercizio maniacale della censura, esso pretende da ognuno di noi l'autocensura. È questo un meccanismo inquietante che ha preso l'avvio ormai da diversi anni nelle università americane, e che soprattutto nei luoghi dove la cultura è sempre stata coltivata in piena libertà dilaga e danneggia. Negli Stati Uniti (ma in molte istituzioni culturali europee si assiste alla stessa deriva) il teatro classico di questo spadroneggiare sono le università.

Qui ormai basta che qualche studente esagitato alzi la mano per lamentare una presunta discriminazione, una ricostruzione storica «impropria», un «linguaggio irrispettoso delle minoranze» di qualsiasi tipo per ottenere un risultato tipico delle dittature: la cacciata dei docenti non allineati al pensiero unico. Si diceva dell'autocensura, e l'ultimo incredibile episodio avvenuto la Hamline University di Saint Paul nel Minnesota, racconta addirittura del suo superamento. Nel senso che ormai nemmeno questo basta più a un coscienzioso e prudentissimo docente a garantire la sua libertà d'insegnamento. La storia della professoressa Erika Lòpez Prater raccontata da quel New York Times che pure è solito prendere le parti della political correctness - merita adeguata attenzione.

Docente aggiunto di storia globale dell'arte, era consapevole che mostrare immagini del profeta dell'Islam Maometto avrebbe potuto offendere i sentimenti religiosi di qualche suo studente. Per questa ragione, prima di cominciare il suo corso, ebbe cura di chiedere ai suoi allievi di segnalarle in anticipo eventuali problemi: nessuno, secondo il suo successivo resoconto dei fatti, disse nulla. Conscia della delicatezza della materia, la professoressa prese un'ulteriore precauzione: all'inizio della lezione, riunì i suoi studenti e li avvertì che entro pochi minuti l'immagine di Maometto sarebbe stata esposta. Chi avesse avuto problemi avrebbe così avuto il tempo di esporli, oppure di lasciare l'aula. Fatto questo mostrò l'immagine un famoso ritratto risalente al XIV secolo e, come riassume efficacissimamente il New York Times, perse il suo lavoro.

Accadde infatti che uno studente di origini sudanesi che prima non aveva fiatato andò a lamentarsi delle scelte professionali della docente presso l'amministrazione dell'Università, che è un piccolo ateneo privato con circa 1800 iscritti. Questa cercò di minimizzare i fatti, ovvero di far ragionare l'accusatore. Ma ottenne solo di peggiorare la situazione: altri studenti musulmani della Hamline, che nulla avevano a che fare con il corso della professoressa Lòpez Prater, si unirono ai suoi accusatori, gridando alla persecuzione contro la loro religione e chiedendo l'intervento delle autorità universitarie contro la reproba.

A quel punto la frittata era fatta: quello che inizialmente era un episodio localmente circoscritto divenne in breve un caso nazionale sulla libertà di espressione. E, tipicamente, fu proprio questa a uscirne sconfitta. Il dibattito prese le ormai famigerate forme dell'autoflagellazione culturale, e toccò l'apice (o meglio, il fondo) quando un rappresentante musulmano invitato a dire la sua sostenne che mostrare le immagini di Maometto equivaleva a fare l'apologia di Adolf Hitler. Terrorizzati, i vertici della Hamline informarono la docente che per il successivo semestre i suoi servigi non sarebbero più stati richiesti.

Nonostante la raccolta di 2800 firme in sua difesa, la decisione è stata confermata nel nome del «diritto degli studenti musulmani a sentirsi sicuri, supportati e rispettati dentro e fuori le aule». Sul diritto al libero insegnamento, non una parola.

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