Pur di avere ragione, la Procura di Verbania decide di allungare a dismisura i tempi dell'indagine sul disastro del Mottarone. A oltre tre anni dal giorno in cui la funivia di Stresa precipitò nel vuoto - undici morti, e il piccolo Eitan Cohen ferito gravemente - il processo diventa teatro di un braccio di ferro tra pubblici ministeri e giudice la cui unica conseguenza certa è un ulteriore allungamento dei tempi. Se finora la prescrizione delle accuse sembrava remota, ora almeno per una parte di esse il pericolo potrebbe farsi più concreto. Che tra giudice e rappresentanti dell'accusa ci fossero discrepanze importanti si era capito già il 22 luglio, quando il gip di Verbania Rosa Fornelli aveva rifiutato di mandare a giudizio come richiesto dai pm i sette imputati, tra cui i gestori dell'impianto, gli operatori e i manager dell'azienda costruttrice. Accogliendo le obiezioni delle difese, la Fornelli aveva chiesto di eliminare dai capi d'imputazione l'aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e soprattutto il reato di attentato alla sicurezza dei trasporti: che presuppone un comportamento deliberato, mentre era illogico che i sette volessero consapevolmente fare schiantare la funivia da cui traevano i loro utili. Per il giudice, restavano solidi e validi altri gravi reati: il disastro colposo, l'omicidio colposo plurimo. Per questo aveva chiesto alla Procura di riscrivere il capo di imputazione, anche alla luce della legge Cartabia che prevede, per andare a un processo, che ci sia una «ragionevole previsione di condanna».
Ieri, con una iniziativa senza precedenti, il procuratore Olimpia Bossi e il suo pm Laura Carrera rifiutano di eseguire quanto deciso dal giudice. Negano che nel corso dell'udienza preliminare il giudice possa ordinare ai pm di revocare una aggravante o una accusa, «perché l'azione penale è irretrattabile». La Procura rivendica la correttezza del suo operato. L'attentato alla sicurezza dei trasporti, dicono i pm, consiste nell'avere messo sui vagoni i «forchettoni» che impedivano l'intervento dei freni di emergenza: e quello fu inequivocabilmente un comportamento volontario.
Per questo la Procura rifiuta di fare retromarcia, e chiede che le venga restituito l'intero fascicolo: si riparte dalla fine delle indagini, nuove notifiche, nuovi avvisi, tempi imprevedibili.
«La consapevolezza delle inevitabili conseguenze che tale opzione comporta, in termini di prolungamento dei tempi processuali, unitamente alla ferma convinzione della impossibilità di conformarsi alle indicazioni del giudice», scrivono, non ci lasciava altra strada.
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