Sembra di riavvolgere il nastro ai giorni del lockdown: ancora una volta l'inerzia del governo Conte innesca le fughe in avanti delle Regioni. Pare incredibile, ma i nodi di aprile (le competenze su spostamenti tra regioni, controlli, gestione di eventuali zone rosse), quattro mesi dopo rimangono tutti non sciolti e perciò pronti a riesplodere.
E, proprio come allora, il governo alza le barricate contro i governatori di centrodestra che agiscono di propria iniziativa e ignora i presidente di regione dem che fanno altrettanto di testa propria. Come accadde a Jole Santelli, che emanò un'ordinanza per riaprire i tavoli all'aperto nei bar in una Calabria quasi Covid-free e venne trascinata al Tar, mentre nessuna azione fu intrapresa contro le ordinanze non allineate ai Dpcm di Puglia e Toscana. Il Tar diede torto alla governatrice, ma i fatti le diedero ragione: nessuna risalita dei contagi in Calabria.
Il governatore-bersaglio del giorno è Nello Musumeci. Nel mirino c'è l'ordinanza con cui il presidente della Sicilia ha ordinato la chiusura di tutti gli hotspot e il trasferimento dei migranti che ospitano entro mezzanotte. Da maggioranza, Ong e sardine varie arrivano le consuete accuse di razzismo e spietatezza. Ma Musumeci ribatte svelando la situazione che lo ha indotto a battere i pugni sul tavolo: «Gli hotspot sono inadeguati sul piano igienico-sanitario e non si consente il mantenimento delle distanze», dice a Rainews. «Lo Stato - aggiunge - avrebbe dovuto in tempo utile predisporre interventi per rendere idonei questi locali: non intendo più essere complice e corresponsabile di un trattamento riservato ai migranti che è assolutamente amorale, e al tempo stesso mettere a rischio la salute della gente che vive nella mia terra». E mentre i fiancheggiatori dei giallorossi procedono con il linciaggio mediatico, al Viminale le istanze di Musumeci trovano comprensione. Il ministero dell'Interno fa trapelare una posizione non ufficiale che chiude all'ordinanza del governatore, ma allo stesso tempo gli fa segnare un punto politico, puntualizzando che la gestione dei flussi migratori «non è una materia di competenza delle regioni». Dunque anche della sicurezza e di una decente accoglienza è il governo che deve farsi carico.
In sostanza, Luciana Lamorgese è convinta che la strada scelta da Musumeci non potrebbe superare gli scogli di un eventuale ricorso al Tar, ma preferisce tentare la strada del dialogo. Del resto, che il patto per i ricollocamenti siglato a Malta stia languendo (689 migranti trasferiti in Europa a fronte di 15mila sbarchi) è talmente evidente che lo stesso ministro in audizione lo scorso 30 giugno ha elencato le pressioni italiane sulla Ue per creare un meccanismo di redistribuzione più efficiente.
L'imbarazzo del governo è palpabile anche perché nel frattempo altre Regioni si sono mosse in ordine sparso sui temi legati al Covid. Vincenzo De Luca ha parlato di chiudere le frontiere della Campania ma dal governo non ha ricevuto reprimende ufficiali. E Lazio e Sardegna si sfidano con accuse reciproche di spargere il virus.
Con una conclusione clamorosa: quando il governatore Solinas chiedeva tamponi alla partenza per chi voleva entrare in una Sardegna Covid-free è stato aspramente criticato. Ora che i turisti hanno portato il virus sull'isola, si vorrebbe che la Sardegna testasse i turisti che ripartono. Una beffa.
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