Nei 5Stelle vince la linea manettara

Ennesimo schiaffo a Di Maio che aveva aperto a tesi garantiste

Nei 5Stelle vince la linea manettara

Il blocco giustizialista impone il no ai referendum sulla giustizia nel M5s. La linea Travaglio-Conte-Bonafede regge. Anzi, appare invalicabile anche per l'ex leader dei Cinque stelle Luigi Di Maio, che resta isolato dopo le sue (seppur timide) aperture al fronte garantista.

Il diktat arriva netto dalle pagine del Fatto Quotidiano, la voce più ascoltata nel Movimento a trazione Conte-Di Battista: «Volete i ladri liberi e pure in Parlamento?», titolava ieri il quotidiano diretto da Marco Travaglio. Un monito. Non aprire varchi e cedimenti sul fronte garantista. Una linea già preannunciata nelle parole del leader Giuseppe Conte: «Da ampio confronto interno è emersa una valutazione: i quesiti referendari sulla giustizia offrono una visione parziale e sicuramente sono inidonei a migliorare il servizio e a rendere più efficiente e più equo il servizio della giustizia».

L'ala giustizialista è ancora la maggioranza tra i Cinque stelle. Restano da capire le opzioni: no al quesito o astensione, per impedire il raggiungimento dei quorum. Si aspetterà anche l'esito delle valutazioni in casa Pd. Enrico Letta convocherà la direzione per capire quale posizione assumere sui referendum sulla giustizia. Nel Pd il fronte garantista è più solido. La difesa del fortino giustizialista, ragionano gli spin di Conte, servirà a recuperare anche uno spicchio di identità e voto degli ortodossi.

Si consuma così un nuovo schiaffo al ministro degli Esteri. Di Maio, non più tardi di un anno fa, in una lettera al Foglio, aveva aperto la stagione garantista nel Movimento con le letture di scuse all'ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, condannato e poi assolto in appello dall'accusa di turbativa d'asta. L'ex capo politico si era detto pentito per aver «esacerbato il clima» e trova oggi «grottesche e disdicevoli» le modalità scelte allora per combattere la battaglia politica. Ma ora il suo partito imbocca, di nuovo, la strada del giustizialismo urlato. Di Maio sarebbe orientato a votare solo il quesito sulla Severino.

L'ex leader è finito in un cul de sac. Schiacciato dalla fronda giustizialista e anti-Draghi nel Movimento, rischia di finire nella trappola del limite al doppio mandato. Di Maio ha già alle spalle due legislature. E in base alla regola madre del Movimento, blindata in questi giorni da Beppe Grillo, nel 2023 dovrà mollare la poltrona. Si ragiona su un lodo per concedere alcune deroghe.

Di Maio, Fico e lo stesso Bonafede. Di Maio ci spera. È a un bivio: lanciare la sfida a Conte per strappargli la leadership o trovare rifugio in un altro partito. I centristi lo corteggiano sfacciatamente. Di Maio per ora non cede.

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