C'è un secondo covo in uso a Matteo Messina Denaro. È una sorta di bunker ricavato all'interno di un'abitazione al primo piano di una palazzina rosa a due piani di via Toselli nº 34. Sempre a Campobello di Mazara, nel Trapanese, città dove ha vissuto gli ultimi 2 anni di latitanza la primula rossa Matteo Messina Denaro arrestato il 16 gennaio nella clinica «La Maddalena» di Palermo. Dista solo 600 metri dalla casa in cui il capomafia ha abitato in Vicolo San Vito, e ancora meno, circa 200 metri, da via Marsala 54 indicata come residenza sulla carta di identità del padrino di Castelvetrano, intestata al suo prestanome, Andrea Bonafede, geometra 59enne di Campobello di Mazara indagato per associazione mafiosa e procurata inosservanza di pena pluriaggravata. Il covo, individuato anche grazie all'analisi di alcuni dati catastali, è intestato a Errico Risalvato, 70 anni, ritenuto vicino all'ultimo stragista del '92 e '93, ma assolto nel 2001 dall'accusa di mafia che pendeva sul suo capo, mentre il fratello Giovanni, imprenditore di calcestruzzi, fu condannato per mafia a 14 anni e ora è libero.
È grande l'entusiasmo, in quanto, a differenza dell'abitazione in cui viveva il boss, dove non è stato rinvenuto nessun nascondiglio segreto, il secondo covo è un bunker nascosto, una stanza blindata a cui si accede dal fondo scorrevole di un armadio pieno zeppo di vestiti per rendere l'accesso più difficoltoso oltre che invisibile. Ieri la stradina in cui si trova l'abitazione è stata chiusa dalle forze dell'ordine e sul posto si sono recati anche il procuratore aggiunto Paolo Guido, che coordina le indagini, e il comandante dei carabinieri del Ros, Lucio Arcidiacono. I militari del Ros e del Gico della Guardia di finanza hanno scandagliato ogni centimetro dell'abitazione a cui hanno avuto accesso dopo la consegna della chiave da parte del proprietario. Sono stati perquisiti entrambi i piani, sia l'interno che il balcone, cercando possibili nascondigli, ad esempio dietro le cornici delle porte e del ballatoio, intercapedini, buchi, in cui potrebbero celarsi documenti importanti. C'è il massimo riserbo sulla risultanza della perquisizione e su quanto rinvenuto dai carabinieri del Ris, che hanno cercato possibili tracce per risalire ai contatti del boss dei boss. Si tratterebbe di materiale importante, ma probabilmente non sono stati rinvenuti quei documenti scottanti che si cercano e che farebbero luce su tanti misteri che hanno costellato le pagine nere della storia d'Italia, dalle stragi in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, e le scorte, agli attentati del 1993 a Milano, Firenze e Roma. In casa, trovati soldi, gioielli e pietre preziose.
Mancherebbe all'appello l'archivio di Totò Riina, che si pensa fosse nelle mani di Messina Denaro, l'agenda rossa del giudice Borsellino sottratta da via D'Amelio nei momenti concitati a seguito della strage, carte che rivelerebbero le connivenze importanti, quelle di uomini delle istituzioni che si sospetta abbiano coperto e favorito, negli anni, la sua latitanza, il cosiddetto «terzo livello» come lo chiamava il giudice Falcone. Le indagini, ora, si concentreranno sul materiale acquisito non solo ieri, ma il giorno prima. «Materiale importante» come lo ha definito ieri al Giornale il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, che ieri ha avuto un breve colloquio con il boss. «Gli ho detto che è nelle mani dello Stato e avrà assistenza medica». Le indagini, poi, si svilupperanno rispettando ancora i tre filoni di cui ha parlato il procuratore De Lucia, ovvero puntando a individuare la rete dei fiancheggiatori, che ha consentito a Messina Denaro di condurre la sua vita normalmente, a cominciare dagli spostamenti per finire alle relazioni intrattenute nel tempo. Un profilo che sta vedendo di giorno in giorno rimpinguarsi il registro degli indagati.
Così, dopo quello del prestanome Andrea Bonafede e del dottor Alfonso Tumbarello, 70 anni, medico di base per decenni fino a dicembre 2021 a Campobello di Mazara, si aggiunge quello del dottor Filippo Zerilli, primario di Oncologia dell'ospedale Sant'Antonio Abate che si occupò dell'esame del Dna necessario alle sedute di chemioterapia a cui doveva essere sottoposto Messina Denaro sempre sotto il nome di Andrea Bonafede.
L'altro filone d'inchiesta riguarda i finanziamenti al super latitante: «La provenienza del denaro ha detto il procuratore De Lucia - e come Messina Denaro ne veniva in possesso». E, infine, il profilo più complesso, quello che riguarda la ricostruzione della latitanza lunga 30 anni, di cui si conoscono, ancora non del tutto, solo gli ultimi due vissuti a Campobello di Mazara.
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