All'indomani del voto regionale, e alla vigilia del congresso che dovrà scegliere il nuovo leader, il Pd litiga. Su che? Sulle capacità di governo di Giorgia Meloni.
La polemica interna si infiamma dopo le dichiarazioni del segretario uscente Enrico Letta al New York Times, e quelle analoghe del candidato alla successione Stefano Bonaccini: «Meloni è meglio di come ce la aspettavamo», almeno sul piano della politica economica e internazionale, dice Letta. «Non è una fascista, ed è una politica certamente capace, pur avendo idee opposte alle mie», aggiunge poi Bonaccini. Apriti cielo: dalla sinistra dem parte l'indignazione. «Capace di cosa? Qui c'è qualcosa che non va», attacca Andrea Orlando. «Non condivido affatto le parole di Bonaccini», dice Elly Schlein, «Non ha la postura adatta al ruolo». Bonaccini invita a evitare «polemiche strumentali» e sottolinea: sull'Ucraina, questione dirimente a livello mondiale, «Meloni ha tenuto la posizione atlantica di Draghi», e questo le va riconosciuto. La orlandiana Rossomando contrattacca: «L'indulgenza di Bonaccini non convince».
In realtà, lo scontro è sul modo di concepire l'opposizione, ovvia, al governo di centrodestra. I più pragmatici (Letta, Bonaccini etc) pensano che inveire da mane a sera contro il pericolo fascista e gli orrori quotidiani dell'ultimo Donzelli che passa sia fare un gran favore alla premier, che si giova delle aggressioni per compattare la maggioranza e rafforzare la propria immagine di «underdog» che si afferma contro gli altrui tentativi di sbarrarle la strada. Meglio attrezzarsi ad un'opposizione puntuale di lunga lena, insomma, lasciando che siano i fatti (e gli eventuali incidenti di percorso) a parlare, anziché far omaggio a Meloni dell'aureola di vittima delle persecuzioni della sinistra. Linea non condivisa dall'ala che punta sulla «pacifista» Schlein.
Che cerca di posizionarsi (in una verbosissima conferenza con la stampa estera) sull'ambiguo crinale secondo cui finora si è aiutata l'Ucraina perché Putin è un aggressore, ma non è che si può aspettare di respingere militarmente l'invasore: «È ora che l'Europa prenda l'iniziativa per la pace», recita, sorvolando sul fatto che la Russia non abbia mai aperto alcuno spiraglio. Ma certo dei voti della sinistra pacifista Schlein ha un gran bisogno, nella sua corsa per la segreteria.
Per ora i sondaggi la danno perdente, e c'è chi rimpiange che non sia in pista un candidato più strutturato della sinistra come Pierfrancesco Majorino. Che in Lombardia ha perso, e pure male (mezzo milione di voti meno di Giorgio Gori nel 2018, e nonostante avesse i 5S - che in quelle regionali presero un milione di voti - alleati e non contro). In realtà, il piano di Majorino è tutt'altro. Celebrare il successo ottenuto a Milano per lanciare la propria candidatura a sindaco, approfittando del fatto che il centrodestra ancora non ha pensato a un competitor. Candidatura sponsorizzata da Beppe Sala, che nel 2024 medita di mollare e candidarsi alle Europee. Sala già tira la volata: «Abbiamo vinto molto bene a Milano, col voto giovanile e con un leader forte come mai nell'ultimo lungo periodo storico», dice.
Majorino, il suddetto «leader forte», replica subito a tono: «Voglio ringraziare Beppe Sala e tutti coloro che stanno spendendo parole molto generose nei miei confronti. E sono convinto che il consenso straordinario ottenuto a Milano sia anche frutto del buon governo della città». Ossia del medesimo Sala.
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