Date a Sabrina quel che è di Sabrina. E tanto basta perché Vittorio Sgarbi e la sua fidanzata, Sabrina Colle, appunto, rimandino al mittente, con l'essenziale collaborazione del gup, la richiesta di rinvio a giudizio della procura di Roma, che voleva processarli per un'inchiesta su un debito con l'erario di circa 715mila euro.
L'accusa sosteneva che un trittico del pittore veneziano Vittorio Zecchin, «Il giardino delle Fate», fosse stato acquistato all'asta da Sabrina Colle (che se lo era aggiudicato per 148mila euro) solo fittiziamente, mentre in realtà l'acquirente sarebbe stato il critico d'arte, che avrebbe scientemente scelto di schermarsi dietro alla compagna per proteggere l'opera dalle grinfie del fisco.
Il teorema degli inquirenti aveva, appunto, portato la procura a chiedere addirittura il processo per l'ex sottosegretario e per la sua compagna, nonostante entrambi avessero chiarito che la ricostruzione non era corretta: il quadro era stato regalato a Colle da un amico della coppia, e Sgarbi non aveva interesse a «schermarsi» come reale proprietario di quell'opera perché negli stessi mesi continuava tranquillamente a comprare altre opere, di valore peraltro anche maggiore, che quindi sarebbero state aggredibili da parte del fisco. Fisco con il quale Sgarbi s'era peraltro accordato, visto che stava pagano le rate delle tasse arretrate all'Agenzia delle entrate.
Argomentazioni che, come detto, non avevano convinto inquirenti e toghe, intenzionati a trascinare la coppia alla sbarra, ma che invece il giudice per l'udienza preliminare ha trovato assolutamente dirimenti, tanto da spazzare via il teorema accusatorio e disporre per Sgarbi e per Colle il «non luogo a procedere» con la formula più ampia, «perché il fatto non sussiste».
«Diciamo che il proscioglimento è il ripristino dell'ordine naturale delle cose», sospira l'ex sottosegretario alla Cultura al telefono con il Giornale. Chiarendo di non aver «mai pensato che ci fosse un coinvolgimento mio o di Sabrina, perché è tutta una cosa che è stata completamente inventata, non so da chi». Sgarbi, anche ora che il gup l'ha prosciolto, ribadisce di aver pagato «regolarmente le tasse secondo gli accordi presi con l'agenzia delle entrate», e insiste nel ricordare di aver «acquistato opere d'arte nello stesso periodo di quell'asta». Quanto basta perché, sottolinea ancora il critico, «appaia del tutto evidente quanto sarebbe stato senza fondamento e senza logica che io per quest'opera convocassi Sabrina dicendole compra tu al mio posto». Il trittico, assicura Sgarbi, venne pagato grazie a «un gesto molto nobile di un amico suo e anche mio, Corrado Sforza Fogliani (avvocato e banchiere scomparso a dicembre 2022, ndr), il quale sapendo che a lei interessava questo dipinto gliel'ha regalato».
Insomma, «il dipinto è sempre stato a casa di Sabrina, è una cosa sua, non aveva nulla a che fare con il capo d'accusa», prosegue Sgarbi, ipotizzando che gli inquirenti «avranno visto che c'era stato un passaggio di denaro per acquistare il quadro, quindi saranno partiti dal fatto che il dono doveva avere una motivazione, cosa che non ogni dono ha, e hanno pensato a un'operazione per quel capo d'imputazione che io non avevo neanche immaginato possibile: lontana non solo dalla realtà ma anche da ogni mia logica di pensiero».
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