Netanyahu rischia grosso. La sinistra può cacciare la vecchia volpe di Israele

I sondaggi danno al Likud del premier 23 seggi su 120. L'opposizione tutta con Herzog, ma l'esito è in bilico

Netanyahu rischia grosso. La sinistra può cacciare la vecchia volpe di Israele

Gerusalemme - La grande volpe, nonostante dovesse svicolare fra le dune del deserto mediorentale dense di pericoli e di agguati, ce l'ha messa tutta, si è a volte nascosta in silenzio per essere però poi subito stanata, ha cercato alle volte di girarsi mostrando i denti alla turba dei cani da caccia, ha corso veloce quanto ha potuto, ma l'assedio l'ha alla fine stretta nell'angolo. 23 o 24 a 21, questo è il risultato che danno i sondaggi, gli ultimi permessi prima delle elezioni di oggi. Il parlamento consta di 120 membri. Due i partiti principali in lizza: il gruppo Isaac Herzog-Tzipi Livni (con lei che si è detta disposta a lasciare tutto il mandato all'alleato), l'Unione Sionista, di fatto la sinistra unita contro Netanyahu, sulla carta batte il Likud di Bibi. Questo non vuol dire necessariamente che Herzog, rampollo di una nobile famiglia sionista, padre presidente, piccolo, educato, voce chioccia, sguardo irritato, sarà il prossimo premier. Una coalizione di sinistra non arriva a 61, la lista araba unita (13 seggi) non ha intenzione di associarsi a un partito sionista, Moshe Kahlon, moderato con 12 seggi, è incerto se accettare la promessa di Bibi di farlo ministro delle finanze. I numeri di Bibi per una coalizione di destra sono più realistici, ha con sè lo schieramento che teme imprudenze pacifiste, e in più chi in fondo sa che Bibi ha più carisma di Herzog. A Bibi si rimprovera di aver scelto in campagna elettorale la strada del blocco nazionale dimenticando che il suo precedente governo comprendeva Tzipi Livni e Yair Lapid, il candidato laico per eccellenza, tanto da dire nelle ore che pensare a uno stato palestinese nei confini del 67 e con Gerusalemme divisa, oggi, in tempo di estremismo, non è più proponibile. Il presidente Reuven Rivlin quando darà l'incarico, certo spingerà per un governo di coalizione che i due leader per ora rifiutano. Dopo 6 anni, dunque, Bibi potrebbe andare a casa. Tre fattori hanno giocato: l'odio obbligatorio, nel mondo contemporaneo, per un leader di destra; l'ostilità per il suo curriculum dell'altro secolo, combattente dell'unità Sayeret Matkal in difficilissime operazioni antiterrorismo; colto figlio dello storico Bent Tzion Netanyahu; fratello di Yoni, che fu ucciso a Entebbe; ambasciatore all'Onu; la lunga permanenza sulla sedia di primo ministro; portabandiera solitario della lotta contro il nucleare iraniano... Più che una campagna elettorale è stato un assedio politico, giudiziario, economico forte di un esercito nazionale e internazionale. Lo slogan che circola ormai da mesi è: «Chiunque fuorchè Bibi». I giornali, i tg, i programmi satirici hanno fatto di Netanyahu il bersaglio fisso, il traino dello share: preso di mira il suo tenore di vita sulla base dell'indagine annuale di legge sulle spese di casa secondo standard socialista-populisti tipicamente israeliani, il poveretto è stato persino accusato di aver ordinato un gelato al pistacchio e di non aver restituto al cameriere i soldi di un collirio; nel mirino la moglie Sara, un personaggio non facile ma certo non criminale; l'insistenza di Bibi sulla sicurezza, il viaggio al Congresso americano per parlare del problema iraniano sono stati visti come una mania; alcuni suoi collaboratori messi oggi da parte, come il capo del Mossad Meir Dagan, l'hanno accusato di essere un pericolo per la sicurezza: chi l'ha vituperato per non aver distrutto Hamas, chi al contrario per aver intrapreso la guerra. L'immagine suggerita al pubblico è quella di un leader che non sa quanto costa un litro di latte, mentre la sinistra e i partiti di centro hanno indossato la tuta proletaria. La vita qui è difficile, il bilancio dello stato è appesantito dalle spesse militari. Il New York Times ha torto quando pensa che le elezioni siano legate soprattutto al tema dello Stato Palestinese (ieri il premier uscente ha detto: «Se sarò rieletto non vi sarà alcuno Stato palestinese»), degli insediamenti, dei coloni. Anche Herzog e Livni, una volta detto rapidamente che è un peccato che Israele non goda di simpatie internazionali e che è tutta colpa di Netanyahu, sanno che non vale la pena di promettere la pace. L'atteggiamento aggressivo di Abu Mazen, l'assedio terrorista e il pericolo iraniano oltre all'esperienza dello sgombero di Gaza non promettono bene. L'accusa di fondo a Bibi non riguarda gli insediamenti, ma non aver frenato il costo della vita, non aver attuato i piani edilizi promessi.

Nessuno si è ricordato del fatto che l'economia israeliana, la scienza, l'high tech, il cyber, i tassi di occupazione sono invidiabili, che Israele in questi anni ha messo in piedi un'incredibile rete stradale e di trasporti, la sanità copre tutto, i salari sono aumentati, l'esercito è forte... ma Bibi è di destra, e Herzog è «un uomo d'onore», direbbe Shakespeare.

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